NONOSTANTE TUTTO EUROPEISTI
I990 mila bresciani chiamati oggi alle urne per le elezioni europee risponderanno alla chiamata alle armi che tutti i partiti hanno fatto trasformando il voto in un referendum pro o contro il governo giallo-verde e, all’interno della maggioranza di governo, pro o contro Salvini. Più in generale il voto continentale dirà quanto è radicato e diffuso il consenso alle forze politiche storiche — liberali, cattoliche e riformiste — che hanno fatto l’Unione, e quanto lo siano realmente le forze sovraniste che quell’Unione vorrebbero allentare se non disfare. Il tema che sarebbe stato più proprio di questo voto, ovvero chiarire chi approva il progetto di un’Unione a due velocità, e soprattutto stabilire chi sale sul convoglio accelerato, è rimasto sullo sfondo. Bruxelles è diventata il perfetto capro espiatorio per chi, anziché «fare i compiti a casa», se la prende con il professore; in specie per chi, come Salvini, è stato undici anni europarlamentare ma non ha chiarito i risultati ottenuti. Si sono peraltro eclissate le voci che invocavano una confusa Italexit o un’ancor più velleitaria uscita dall’euro. Senza scomodare gli ideali dei Padri fondatori, la realtà di un’Europa che da 74 anni riesce a vivere in pace, gli stili di vita della Generazione Erasmus e della Generazione Ryanair, abituate a convivere con confini dilatati, basterebbe citare i vecchi, solidi dati economici per capire come Brescia sia, nel profondo, una provincia a destino europeo.
Idati dell’Ufficio studi di Aib, citati più volte dal presidente Giuseppe Pasini, dimostrano che la Brescia industriale non è «globalizzata» ma, più propriamente, «europeizzata». L’industria bresciana esporta prodotti per 16,9 miliardi di euro: il 76% (12,8 miliardi) è verso Paesi Ue. Quattro dei primi cinque, otto dei primi dieci, diciotto dei primi venti Paesi destinatari dell’export bresciano sono europei: primeggiano Germania (3,4 miliardi) Francia (1,8), Spagna (885 milioni). Importante pure la circolazione di capitali industriali: a Brescia operano 60 multinazionali europee che generano 5000 posti di lavoro; in direzione opposta 150 unità produttive europee sono state create da bresciani (Romania, Polonia, Germania in testa). Brescia primeggia, fra le mille provincie europee, sia nell’industria che nell’agricoltura (binomio raro, che accade solo a Verona e a poche altre provincie italiane). Dopo Boblingen (la terra dell’Audi) e Ingolstadt (la casa della Smart) Brescia è la terza provincia europea per specializzazione manifatturiera, la 16esima per valore aggiunto (dopo Barcellona, Milano, Madrid, Monaco e altre big) ma anche la nona per specializzazione agricola e la 18esima per valore aggiunto agricolo. Se la provincia di Brescia fosse uno Stato autonomo, avrebbe un Pil e un export superiore a quello di sei Stati dell’Unione e un Valore aggiunto che se ne lascerebbe alle spalle altri nove (Bulgaria e Slovenia, Croazia e Lituania, Estonia e Lettonia, Lussemburgo Cipro e Malta). Una vera potenza europea. Grazie all’Europa. Europeista per forza, se non per gli ideali.