«La Storia», quando il teatro doma la letteratura
Negli anni Settanta, infettati dalla spocchia miope dell’ideologia, fu un caso politico, oltre che letterario. Oggi lo si può gustare per quello che è: un bellissimo e grande romanzo corale, valorosamente tragico in un Paese vocato al patetico (e alla commedia), che racconta un rapporto complementare e biadesivo: da una parte le vite degli ultimi con la loro epica sconosciuta del quotidiano , dall’altra le linee di forza di quella macchina schiacciasassi che è la Storia, terribile Moloch che si alimenta con i sacrifici dei singoli e azzera i destini collettivi. La Storia di Elsa Morante, orfana di tensioni teleologiche e di provvidenze, è un romanzo che stimola il piacere cannibalesco della lettura. Uno di quei libri che alla fine hanno le orecchie, sono squinternati e consunti, quasi come
gelsomini notturni o amanti estenuati all’alba. Questa è la sorte dei libri amati. Ed è sicuramente un’operazione d’amore l’allestimento de La Storia al Mina Mezzadri Santa Chiara, firmato da Marco Archetti (drammaturgo) e Fausto Cabra (regista), duo di coppia con timoniere (la produzione del Ctb). Archetti — lavoro duro il suo, ma anche da stilista — ha ridotto un magma narrativo rovente a copione, Cabra gli ha dato visibilità scenica con una intuizione che griffa la qualità. La mole del libro sarebbe incommensurabile per una traduzione da codice a codice, bisognava scegliere un angolazione diversa. Cabra, lasciando libero corso alla fisiologia del romanzo, mette in scena la lettura come dimensione assorta e febbrile, immaginifica. E la lettura, zona limbale e green zone mentale restituisce profumi e sapori, fa sì che quasi il palco diventi una nostra proiezione.
Questa l’opzione della ri-crezione e della rilettura. Poi i personaggi sono quelli che conosciamo: Ida, maestrina e mater dolorosa; Nino, figlio del marito di cui è rimasta vedova, prima camicia nera, poi partigiano, anarchico e contrabbandiere; Useppe, il piccolo «bastardo», che Ida ha concepito dopo essere stata violentata; due cani e un gatto, perché anche gli animali sono vittime dell’epifania del disumano che la Storia. I tre attori (Franca Penone, Alberto Onofrietti e Francesco Sferrazza Papa, uni e multipli) sono di superba bravura e fanno squadra, mentre la drammaturgia del suono e le luci non sono decoro ma supplemento di scrittura. Di precetto. (n.d.)