La Cannes controcorrente di Moretti
Gli smoking sono riposti negli armadi. Così come gli abiti da sera. Che cosa resta del Festival di Cannes, 72esima edizione, che si è chiusa sabato? Alcuni film del concorso (il livello è stato buono), qualche divo, tantissima gente. Forse
un capolavoro (Dolor Y gloria di Almodóvar). E la Quinzaine. Scommessa vinta quella del bresciano Paolo Moretti, alla guida della sezione storicamente più tranchant («cerchiamo lavori che osino e disturbino») della kermesse in Costa Azzurra, la Quinzaine des Réalisateurs che ha compiuto 50 anni. Lui, primo «papa straniero» a Cannes («sono il primo delegato generale — direttore, ndr — non francese di sempre») è stanco ma sereno: «Ancora non abbiamo fatto bilanci. Ma ci sono stati ottimi riscontri — spiega dagli uffici di La Malmaison, la grande casa sulla Croisette —. Difficilmente al primo anno di direzione fila tutto liscio, ma qui c’è una bella atmosfera. Sono contento».
Giusto che lo sia, Moretti. Della sua Quinzaine si è detto un gran bene. Ora è arrivato il momento di prendersi una pausa e di tornare a Brescia?
«Non so ancora quando, ma ne ho molta voglia. Sono legatissimo a Brescia ed è da Natale che non torno. Di solito, ogni due o tre mesi il lavoro me lo consente. Ma l’ultimo periodo è stato davvero troppo intenso. Così, i miei genitori sono venuti a trovarmi al Festival».
Lei è un 40enne di lunga carriera, iniziata e proseguita all’estero. Con prestigiosa parentesi italiana.
«Dopo la tesi in Storia del cinema, mi sono trasferito in Francia. A Parigi, sono stato assunto al Centre Pompidou. Poi, ho iniziato a girare l’Europa. Le cineteche di Spagna e Portogallo, l’Inghilterra, Berlino .... Alla Mostra del Cinema di Venezia ho lavorato come braccio destro del direttore Marco Müller. E da marzo 2018, eccomi alla Quinzaine. Dopo avere partecipato a un bando, ricopro questo incarico che non prevede scadenza. Il primo delegato è rimasto trent’anni».
Da quando è nata, nel 1969, il cinema internazionale deve molto alla Quinzaine.
«Nel ripercorrerne la storia, si respira la lezione di registi che fanno parte della mia formazione cinefila. Su tutti Werner Herzog. Nel 1970 presentò Anche i nani hanno cominciato da piccoli, un’opera che provocherebbe apprensione anche oggi. Ma da qui, fra i tanti, sono passati Carmelo Bene, i Dardenne, Martin Scorsese».
E di questa edizione, chi verrà ricordato?
«I fiori all’occhiello sono stati tanti. Da The Lighthouse (con Willem Dafoe e Robert Pattinson ndr), al film di Lav Diaz (il torrenziale The Halt, 4h 36 minuti ndr). Oltre a una serie di entusiasmi inattesi».
Un altro bresciano è stato protagonista a Cannes. Cosa ne pensa di Lorenzo Mattotti e del suo film animato La famosa invasione degli orsi in Sicilia?
«Per lui nutro grande ammirazione. Ormai ci sono mattottiani» che lo seguono ovunque nel mondo. Il suo film è davvero molto bello».