Com’è banale l’ultra violenza
Marco Baliani autore e interprete di «Una notte sbagliata» «Fragilità e casualità spiegano solo in parte certi meccanismi»
«In questo spettacolo porto in scena il corpo di un essere umano già fragile, corpo che in quella notte che, solo dopo, chiameremo sbagliata, diventa una vittima su cui accanirsi. Entrare e uscire dalle teste e dai corpi dei protagonisti notturni della vicenda, compreso un cane, è stata la mia “gimkana” attorale, obbligandomi a continui cambi percettivi e linguistici, dentro una rete di rimandi sonori e visivi». Così Marco Baliani, uno dei massimi riferimenti del teatro di narrazione, descrive la «temperatura emotiva» del suo nuovo spettacolo, «Una notte sbagliata», prodotto da Marche Teatro e fresco di debutto al Napoli Teatro Festival Italia, in scena all’Ex Pini sabato e domenica, nell’ambito del festival «Da vicino nessuno è normale». L’uomo fragile, di cui fa cenno, si chiama Tano, è psicologicamente disturbato e abita in un casermone di un quartiere della periferia metropolitana. Sotto casa un parco, dove una sera come tante porta il suo cane a fare un giro, nonostante un oscuro presentimento. Si troverà nel posto sbagliato al momento sbagliato, vittima di una violenza assurda e imponderabile da parte di un paio di pattuglie di poliziotti, che si accaniscono contro di lui perché il suo cane, abbaiando, ha forse messo in fuga un extracomunitario a cui stavano dando la caccia. La banalità e la gratuità della violenza, che fa correre il pensiero al caso Cucchi, ma va oltre, addentrandosi nei meandri della patologia mentale.
A Baliani non interessa tanto il fatto di cronaca, quanto «riflettere su quel meccanismo che va al di là della casualità della sfortuna, e chiedersi come mai gli esseri umani arrivano a essere così terribilmente persecutori rispetto a qualcuno che è inerme. Ho la sensazione che ci sia un progressivo impoverimento della sacralità della vita. Vediamo tutta una serie di integralismi e fondamentalismi che avevamo pensato sepolti per sempre, come se in tutto il mondo occidentale ci fosse il desiderio irrefrenabile di accanirsi contro un capro espiatorio che deve essere un diverso, che sia straniero, nero, ebreo o omosessuale». Solo in scena, diretto da Maria Maglietta e coadiuvato dalla partitura sonora ideata da Mirto Baliani e dalle scene videoproiettate di Lucio Diana, che riproducono i disegni angoscianti di Tano, Marco Baliani va oltre la consueta linearità del teatro di narrazione per approdare a un linguaggio frantumato senza nessi temporali obbligati, dove il corpo si metamorfizza a mano a mano che l’azione prosegue, con gesti che richiamano le esperienze della body art degli anni Settanta.