Caffaro, il Tar riavvia l’attività
Si torna a produrre nel reparto clorato, i giudici dettano i tempi della messa in sicurezza
Il Tar ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata dalla Caffaro Brescia srl e annullato l’efficacia del provvedimento della Provincia. La ditta potrà quindi riprendere la produzione anche nel reparto clorato. Una scelta dei giudici presa anche tenendo contro dei 54 posti di lavoro e dal fatto che la produzione dell’azienda di via Milano copre il 70% del fabbisogno nazionale. Ma il provvedimento del Tar detta anche i tempi per la messa in sicurezza in azienda: la società chimica del Gruppo Todisco dovrà presentare alla Provincia di Brescia «entro otto giorni» una «proposta operativa» che punti allo «svuotamento dei serbatoi», le famose cisterne da cui esce il cromo della Caffaro.
Né vincitori né vinti. Il pronunciamento del Tar, che ieri ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata dalla Caffaro Brescia srl, annulla sì l’efficacia del provvedimento della Provincia, ma non ne svuota né cancella le prescrizioni chieste all’azienda che lavora in via Milano. La ditta potrà quindi riprendere la produzione anche nel reparto clorato, quello bloccato dal provvedimento di sospensione dell’attività imposto dalla Provincia il 24 ottobre scorso: una scelta che i giudici di via Zima giustificano anche alla luce del «significativo impatto in termini occupazionali e produttivi» che il blocco avrebbe, con ricadute a livello nazionale dato che il «clorito di sodio derivante dall’attività produttiva — scrivono — copre il 70% del fabbisogno nazionale del prodotto, utilizzato nei processi di potabilizzazione e disinfezione delle acque».
Non solo, c’è anche il profilo ambientale della città di Brescia: l’azienda, che ha preso in affitto una parte della
Caffaro, preleva dal sottosuolo ogni anno 11 miliardi di litri d’acqua, garantendo così che la falda sottostante rimanga bassa e non entri in contatto con il mix di veleni che «riposa» sotto la Caffaro.
Il provvedimento del Tar – estensore Elena Garbari, presidente Angelo Gabbricci e consigliere Mauro Pedron – ricorda che la società chimica del Gruppo Todisco dovrà presentare alla Provincia di Brescia «entro otto giorni» una «proposta operativa» che punti allo «svuotamento dei serbatoi» presenti nell’area B – le famose cisterne vecchie di decenni, dalle quali esce il cancerogeno cromo ereditato dalla Caffaro – e stabilisca anche come va smaltito «il materiale ivi presente».
Insomma, il tribunale amministrativo stabilisce di fatto un cronoprogramma entro il quale l’azione di messa in sicurezza e risanamento va portata a termine: la Caffaro Brescia avrà l’onere di presentare un progetto nel quale «siano indicati tempi e modi per la sua messa in atto». E poi la Provincia dovrà valutare questo piano «nei seguenti dieci giorni». Ma le prescrizioni di messa in sicurezza, che sono alla base della sospensione dell’Aia, dovranno essere rispettate: i giudici ricordano che entro il 5 dicembre Arpa e Provincia di Brescia, «in contradditorio con la Società, e con il Comune di Brescia, dovranno valutare lo stato di adempimento delle attività prescritte nell’atto di diffida». Poi, nei giorni successi, il dossier andrà consegnato ai giudici del Tar che il 18 dicembre valuteranno l’evolversi della situazione.
Insomma, la sospensiva permette all’azienda di ripartire, salvando di fatto 54 posti di lavoro – la ditta aveva minacciato di chiudere tutto in caso di provvedimento negativo – e garantendo la fruibilità della barriera idraulica. Ma i giudici non fanno sconti e sottolineano che ci sono prescrizioni da rispettare. Infatti il Gruppo Todisco dovrà fare una «pulizia straordinaria» nell’Area A e B del reparto clorato, adeguare i «bacini di contenimento delle cisterne» in modo che non ci siano altre perdite ed eseguire delle «prove di tenuta delle vasche». Nel corso dell’udienza anche la Provincia di Brescia aveva riconosciuto che queste operazioni attualmente «sono in corso», ma il nodo cruciale resta un altro: lo svuotamento e smaltimento del cromo e dei rifiuti pericolosi delle cisterne. Entro quanto tempo dovrà essere risolto? Il Tar ritiene che i tempi imposti dal Broletto per operazioni così complesse costituiscano un limite «non del tutto ragionevole». E ciò nonostante, la ditta incaricata dovrà redigere un piano operativo per risolvere il problema dell’inquinamento (in corso) all’interno della fabbrica, scoperchiato quest’estate dalle analisi di Arpa Lombardia. Si spera quindi che l’intero percorso possa proseguire: l’attività lavorativa, l’emungimento della falda (in attesa della bonifica vera e propria), la messa in sicurezza delle cisterne per ridurre a monte la sorgente dell’inquinamento.
Da parte sua, la Provincia ha più volte cercato il dialogo con l’azienda nel tentativo di risolvere i problemi. Quella del Tar «è un’ordinanza ineccepibile, improntata al rispetto della norma e ricca di buon senso» è l’analisi del vicepresidente del Broletto Guido Galperti. Per lui si tratta di «una sospensiva prescrittiva», nel senso che «mette in capo all’azienda l’onere del piano operativo. Che poi è ciò che avevamo chiesto anche noi. I nostri uffici — dice Galperti — hanno fornito le indicazioni temporali legate ai termini di legge». Se poi i giudici hanno ritenuto che quelle indicazioni «non fossero adeguate» poco importa: «l’obiettivo è risolvere i problemi. Ed è sempre stato anche il nostro» conclude Galperti.
La scelta
Attenzione dei giudici ai posti di lavoro e al fabbisogno nazionale del prodotto