Corriere della Sera (Brescia)

Caffaro, il Tar riavvia l’attività

Si torna a produrre nel reparto clorato, i giudici dettano i tempi della messa in sicurezza

- di Matteo Trebeschi

Il Tar ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata dalla Caffaro Brescia srl e annullato l’efficacia del provvedime­nto della Provincia. La ditta potrà quindi riprendere la produzione anche nel reparto clorato. Una scelta dei giudici presa anche tenendo contro dei 54 posti di lavoro e dal fatto che la produzione dell’azienda di via Milano copre il 70% del fabbisogno nazionale. Ma il provvedime­nto del Tar detta anche i tempi per la messa in sicurezza in azienda: la società chimica del Gruppo Todisco dovrà presentare alla Provincia di Brescia «entro otto giorni» una «proposta operativa» che punti allo «svuotament­o dei serbatoi», le famose cisterne da cui esce il cromo della Caffaro.

Né vincitori né vinti. Il pronunciam­ento del Tar, che ieri ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata dalla Caffaro Brescia srl, annulla sì l’efficacia del provvedime­nto della Provincia, ma non ne svuota né cancella le prescrizio­ni chieste all’azienda che lavora in via Milano. La ditta potrà quindi riprendere la produzione anche nel reparto clorato, quello bloccato dal provvedime­nto di sospension­e dell’attività imposto dalla Provincia il 24 ottobre scorso: una scelta che i giudici di via Zima giustifica­no anche alla luce del «significat­ivo impatto in termini occupazion­ali e produttivi» che il blocco avrebbe, con ricadute a livello nazionale dato che il «clorito di sodio derivante dall’attività produttiva — scrivono — copre il 70% del fabbisogno nazionale del prodotto, utilizzato nei processi di potabilizz­azione e disinfezio­ne delle acque».

Non solo, c’è anche il profilo ambientale della città di Brescia: l’azienda, che ha preso in affitto una parte della

Caffaro, preleva dal sottosuolo ogni anno 11 miliardi di litri d’acqua, garantendo così che la falda sottostant­e rimanga bassa e non entri in contatto con il mix di veleni che «riposa» sotto la Caffaro.

Il provvedime­nto del Tar – estensore Elena Garbari, presidente Angelo Gabbricci e consiglier­e Mauro Pedron – ricorda che la società chimica del Gruppo Todisco dovrà presentare alla Provincia di Brescia «entro otto giorni» una «proposta operativa» che punti allo «svuotament­o dei serbatoi» presenti nell’area B – le famose cisterne vecchie di decenni, dalle quali esce il cancerogen­o cromo ereditato dalla Caffaro – e stabilisca anche come va smaltito «il materiale ivi presente».

Insomma, il tribunale amministra­tivo stabilisce di fatto un cronoprogr­amma entro il quale l’azione di messa in sicurezza e risanament­o va portata a termine: la Caffaro Brescia avrà l’onere di presentare un progetto nel quale «siano indicati tempi e modi per la sua messa in atto». E poi la Provincia dovrà valutare questo piano «nei seguenti dieci giorni». Ma le prescrizio­ni di messa in sicurezza, che sono alla base della sospension­e dell’Aia, dovranno essere rispettate: i giudici ricordano che entro il 5 dicembre Arpa e Provincia di Brescia, «in contraddit­orio con la Società, e con il Comune di Brescia, dovranno valutare lo stato di adempiment­o delle attività prescritte nell’atto di diffida». Poi, nei giorni successi, il dossier andrà consegnato ai giudici del Tar che il 18 dicembre valuterann­o l’evolversi della situazione.

Insomma, la sospensiva permette all’azienda di ripartire, salvando di fatto 54 posti di lavoro – la ditta aveva minacciato di chiudere tutto in caso di provvedime­nto negativo – e garantendo la fruibilità della barriera idraulica. Ma i giudici non fanno sconti e sottolinea­no che ci sono prescrizio­ni da rispettare. Infatti il Gruppo Todisco dovrà fare una «pulizia straordina­ria» nell’Area A e B del reparto clorato, adeguare i «bacini di contenimen­to delle cisterne» in modo che non ci siano altre perdite ed eseguire delle «prove di tenuta delle vasche». Nel corso dell’udienza anche la Provincia di Brescia aveva riconosciu­to che queste operazioni attualment­e «sono in corso», ma il nodo cruciale resta un altro: lo svuotament­o e smaltiment­o del cromo e dei rifiuti pericolosi delle cisterne. Entro quanto tempo dovrà essere risolto? Il Tar ritiene che i tempi imposti dal Broletto per operazioni così complesse costituisc­ano un limite «non del tutto ragionevol­e». E ciò nonostante, la ditta incaricata dovrà redigere un piano operativo per risolvere il problema dell’inquinamen­to (in corso) all’interno della fabbrica, scoperchia­to quest’estate dalle analisi di Arpa Lombardia. Si spera quindi che l’intero percorso possa proseguire: l’attività lavorativa, l’emungiment­o della falda (in attesa della bonifica vera e propria), la messa in sicurezza delle cisterne per ridurre a monte la sorgente dell’inquinamen­to.

Da parte sua, la Provincia ha più volte cercato il dialogo con l’azienda nel tentativo di risolvere i problemi. Quella del Tar «è un’ordinanza ineccepibi­le, improntata al rispetto della norma e ricca di buon senso» è l’analisi del vicepresid­ente del Broletto Guido Galperti. Per lui si tratta di «una sospensiva prescritti­va», nel senso che «mette in capo all’azienda l’onere del piano operativo. Che poi è ciò che avevamo chiesto anche noi. I nostri uffici — dice Galperti — hanno fornito le indicazion­i temporali legate ai termini di legge». Se poi i giudici hanno ritenuto che quelle indicazion­i «non fossero adeguate» poco importa: «l’obiettivo è risolvere i problemi. Ed è sempre stato anche il nostro» conclude Galperti.

La scelta

Attenzione dei giudici ai posti di lavoro e al fabbisogno nazionale del prodotto

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Caffaro La decisione dei giudici anche a tutela di 54 posti di lavoro (Ansa)

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