Vedova il furioso
Nella Sala delle Cariatidi 60 opere del ribelle pittore veneziano a cent’anni dalla nascita
Non è una mostra antologica né cronologica; ma nemmeno un approfondimento su un periodo o una serie di opere. Si potrebbe piuttosto definirla la vetrina di uno spettacolo. Nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, 60 opere dell’artista veneziano Emilio Vedova — di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita — dialogano attraverso il formato della grande dimensione: dipinti e sculture degli anni Sessanta con i «Dischi», posati anche a pavimento, degli anni Ottanta e Novanta più un pizzico di opere del ventennio di esordio, a partire dagli anni Quaranta. Al centro, a tagliare in diagonale l’enorme sala, un imponente intervento degno di un’architettura assiro-babilonese: un muro lungo 30 metri e alto 5, di colore grigio che «sfregia» lo spazio come una cicatrice, dal pavimento fin quasi al soffitto. Non un semplice elemento di allestimento, ma un intervento ambientale dello studio Alvisi Kirimoto di Roma.
«La sala delle Cariatidi è un contenitore contemporaneo da usare come installazione», ha spiegato Celant. «Bisogna intervenire nel suo spazio come se fosse un palcoscenico. L’effetto deve essere quello di un pugno nello stomaco perché è così che Emilio avrebbe occupato l’ambiente e io ho tirato fuori la sua condizione di rabbia e ribellione». Spiegazioni e cronologia della vita e dell’opera dell’artista sono state concentrate in asciutti pannelli appesi come pagine di un libro nella sala introduttiva. L’apparato didattico è stato volutamente isolato perché, ha insistito Celant, l’idea è quella di una mostra emotiva: «Un ambiente in cui disperdersi, dove ho cercato di coinvolgere la fisicità. Il visitatore dovrebbe uscire disorientato, chiedendosi se ha esplorato tutta la mostra oppure no».
Un posto dove perdersi con le emozioni e non con la testa, in linea con il carattere sanguigno del maestro che, a dodici anni, diede inizio alla sua carriera artistica con un moto di ribellione urlando contro il padrone che gli faceva pulire con la soda caustica i tavoli del caffè Florian: «Lei è un disumano, questo è un lavoro da bestie!». Il piccolo garzone venne licenziato ma l’artista che nacque non rinunciò mai alle contestazioni: da autodidatta prima contro la pittura ufficiale; nel 1942 con l’adesione al movimento anti-novecentista Corrente; nel 1946, dopo aver partecipato alla Resistenza, firmando il manifesto «Oltre Guernica» e fondando la «Nuova Secessione italiana» per uscirne pochi anni dopo in violenta polemica con i compagni che avrebbero voluto imporre il realismo. Nel 1953 Vedova aderì poi al Gruppo degli Otto ma ancora una volta se ne dissociò con una dichiarazione pubblica. Alto quasi due metri, il carattere irruente, il corpo scarno, gli occhi chiari sopra folta barba scura (bianca e incolta nella vecchiaia), per tutta la vita Vedova ha sottolineato con la sua gestualità e il suo furore da «Tintoretto novecentesco» il suo passionale impegno civile.
Il curatore Celant
«L’effetto deve essere quello di un pugno nello stomaco perché così avrebbe voluto lui»