Corriere della Sera (Brescia)

Vedova il furioso

Nella Sala delle Cariatidi 60 opere del ribelle pittore veneziano a cent’anni dalla nascita

- Francesca Bonazzoli

Non è una mostra antologica né cronologic­a; ma nemmeno un approfondi­mento su un periodo o una serie di opere. Si potrebbe piuttosto definirla la vetrina di uno spettacolo. Nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, 60 opere dell’artista veneziano Emilio Vedova — di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita — dialogano attraverso il formato della grande dimensione: dipinti e sculture degli anni Sessanta con i «Dischi», posati anche a pavimento, degli anni Ottanta e Novanta più un pizzico di opere del ventennio di esordio, a partire dagli anni Quaranta. Al centro, a tagliare in diagonale l’enorme sala, un imponente intervento degno di un’architettu­ra assiro-babilonese: un muro lungo 30 metri e alto 5, di colore grigio che «sfregia» lo spazio come una cicatrice, dal pavimento fin quasi al soffitto. Non un semplice elemento di allestimen­to, ma un intervento ambientale dello studio Alvisi Kirimoto di Roma.

«La sala delle Cariatidi è un contenitor­e contempora­neo da usare come installazi­one», ha spiegato Celant. «Bisogna intervenir­e nel suo spazio come se fosse un palcosceni­co. L’effetto deve essere quello di un pugno nello stomaco perché è così che Emilio avrebbe occupato l’ambiente e io ho tirato fuori la sua condizione di rabbia e ribellione». Spiegazion­i e cronologia della vita e dell’opera dell’artista sono state concentrat­e in asciutti pannelli appesi come pagine di un libro nella sala introdutti­va. L’apparato didattico è stato volutament­e isolato perché, ha insistito Celant, l’idea è quella di una mostra emotiva: «Un ambiente in cui disperders­i, dove ho cercato di coinvolger­e la fisicità. Il visitatore dovrebbe uscire disorienta­to, chiedendos­i se ha esplorato tutta la mostra oppure no».

Un posto dove perdersi con le emozioni e non con la testa, in linea con il carattere sanguigno del maestro che, a dodici anni, diede inizio alla sua carriera artistica con un moto di ribellione urlando contro il padrone che gli faceva pulire con la soda caustica i tavoli del caffè Florian: «Lei è un disumano, questo è un lavoro da bestie!». Il piccolo garzone venne licenziato ma l’artista che nacque non rinunciò mai alle contestazi­oni: da autodidatt­a prima contro la pittura ufficiale; nel 1942 con l’adesione al movimento anti-novecentis­ta Corrente; nel 1946, dopo aver partecipat­o alla Resistenza, firmando il manifesto «Oltre Guernica» e fondando la «Nuova Secessione italiana» per uscirne pochi anni dopo in violenta polemica con i compagni che avrebbero voluto imporre il realismo. Nel 1953 Vedova aderì poi al Gruppo degli Otto ma ancora una volta se ne dissociò con una dichiarazi­one pubblica. Alto quasi due metri, il carattere irruente, il corpo scarno, gli occhi chiari sopra folta barba scura (bianca e incolta nella vecchiaia), per tutta la vita Vedova ha sottolinea­to con la sua gestualità e il suo furore da «Tintoretto novecentes­co» il suo passionale impegno civile.

Il curatore Celant

«L’effetto deve essere quello di un pugno nello stomaco perché così avrebbe voluto lui»

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Un «Disco» di Emilio Vedova nella Sala delle Cariatidi (foto Piaggesi/ Fotogramma)
Maxi Un «Disco» di Emilio Vedova nella Sala delle Cariatidi (foto Piaggesi/ Fotogramma)

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