I frati anti elemosina «Combattiamo il racket della carità»
I religiosi contro «i professionisti dell’accattonaggio»
e imbastito i servizi di questa struttura da sempre punto di riferimento per i bisognosi. Ma sembra che alcuni di essi abbiano preso un brutto vizio, cioè stazionare nelle vicinanze del convento, chiedere soldi per comprare vino in cartone e alcolici. «Se ne parla di quel cartello, lo so. C’è chi dice bianco, chi dice nero. Poi siamo sotto Natale, sebbene sia oltre un mese che l’ho affisso, e tra l’altro è identico a uno che ho visto fuori da una chiesa di Milano che non mi risulta abbia suscitato tanto clamore».
Il cartello, secondo il frate francescano, è stato messo non contro la carità, ma per colpire gli «imprenditori dell’accattonaggio. Esistono organizzazioni che si occupano di gestire l’elemosina in maniera quasi aziendale. Non è il caso di quanto accade qui fuori, voglio dirlo in maniera chiara. Ma attorno alla nostra struttura gravitano persone che da 10-15 anni continuano a non fare altro che domandare soldi e il dramma più grande cui assistiamo è la questione generazionale con padri che insegnano ai figli a trovare nell’accattonaggio la soluzione ai loro problemi. Io sono un frate, che vuol dire fratello.
E un fratello si occupa del prossimo in difficoltà. Noi aiutiamo davvero tutti, 365 giorni l’anno. Chi viene qui riceve prima di tutto consigli, e l’obiettivo è sempre lo stesso: allontanare dalle dipendenze, aiutare a trovare un lavoro. Piuttosto che dare i soldi a chi li chiede, sarebbe meglio offrire un’occupazione, di qualunque genere».
Il prevosto della città,
Fratel Silvestro «Conosco persone che da 10-15 anni non fanno altro che chiedere soldi»
monsignor Severino Pagani, preferisce non commentare. Invece fra quanti vivono in zona Frati c’è un residente eccellente che vuol dire la sua. Si chiama Emanuele Antonelli, sindaco di Busto Arsizio e presidente della Provincia di Varese, che sta dalla parte di frate Silvestro. «Chi ha bisogno deve essere aiutato, è chiaro. Ma nei dintorni del convento si vedono persone più simili ai professionisti dell’elemosina che a questuanti. E i soldi che prendono, alla fine, rappresentano risorse sottratte a chi ne ha davvero bisogno».