Corriere della Sera (Brescia)

Verdure vietate e nessuna paura «I Pcb? Favole»

Da via Rose alla Noce si coltiva come sempre

- Di Nicole Orlando

Tra il quartiere Noce e via Rose, nella terra avvelenata da Pcb e diossine, i residenti coltivano l’orto come sempre, comprese colture vietate, come i porri, che crescono nella terra. Nessuna paura e nessuna conoscenza delle regole dell’ordinanza. «Il Pcb non esiste» dice Giuliano Cucchi. «Sono 60 anni che ho l’orto e le verdure le ho vendute anche nel negozio che avevo in città» spiega Gianfranco Beschi, un altro residente.

"Gianfranco Beschi Sempre mangiato le verdure dell’orto, le ho vendute per decenni anche in un negozio in città

L’inquinamen­to che ha piantato radici nella terra è una favola. Nera, ma pur sempre una favola: dev’essere per forza così. Questo è il pensiero di chi abita e coltiva da sempre un terreno avvelenato da Pcb e diossine senza che nessuno glielo abbia mai davvero impedito. Nella fetta di città che va da via Rose al quartiere Noce — passando per il I Maggio e Chiesanuov­a — la percezione del rischio è così debole che molti lo negano. Alcuni arrivano a sostenere «che sia un’invenzione per fare arrivare soldi da Roma». Per altri è sempliceme­nte una bufala. Anche chi riconosce la presenza degli inquinanti non crede fino in fono alla loro nocività: si cita un parente longevo, nato e cresciuto «tra i presunti veleni» come prova regina dell’inesistenz­a dei rischi per la salute.

Questo il paradosso in cui vive oggi la Brescia sud occidental­e, punto d’incontro tra città e campagna. Alcune vie hanno nomi che evocano la natura (via Noce, via dei Gelsi, della Seta, via Rose) ma si diramano tra zolle venefiche. Tra gli abitanti, tanti gli anziani. Quelli con un legame più stretto con la terra. Fanno spallucce se ricordi loro che i Pcb dal 2013 sono stati inseriti dallo Iarc tra i cancerogen­i certi per l’uomo. Giuliano Cucchi, proprietar­io di un terreno in via Rose, non usa mezzi termini: «Il pcb non esiste. Chi dice il contrario mente. Io ho fatto le analisi: niente pcb e sono qui da sempre. È tutta una favola».

Chi sa di convivere con gli inquinanti lo dimentica: e avanti a scavare, smuovere terra, seminare, raccoglier­e. I proprietar­i degli orti mostrano con orgoglio il frutto del loro lavoro, pronto per essere portato in tavola: zucche, zucchine, diverse varietà di cavolfiori, porri, spinaci, grasselli, insalata ed i gustosi «capulì». Chi ha curato questi orti non ha certo aspettato il parziale via libera arrivato dall’ordinanza del Sindaco emessa ad inizio gennaio, con la quale — in base agli studi Ats — è stata sdoganata la semina di finocchi, aglio, cipolla, cetrioli, melanzane, cavolfiori, fagiolini e piselli, oltre a pomodori e verza, proprio perché non «assorbono» i Pcb. «Sono 60 anni che coltivo l’orto — dice Gianfranco Beschi —.

Questi prodotti li ho mangiati io, la mia famiglia, e per molti anni anche mezza Brescia, perché avevo un negozio di frutta e verdura in città. Non abbiamo mai avuto indicazion­i, né mai usato precauzion­i. E siamo ancora qui».

Il problema è per lo più rinnegato, come non esistesse: «Se siamo preoccupat­i? Ma di cosa? Mia suocera ha mangiato la verdura dell’orto per tutta la vita e ha vissuto quasi cent’anni» ribatte Giovanni Corini. Dalla casa di fronte esce Gigliola: «Sto sistemando proprio adesso il giardino». Di protezioni, dice, non se ne usano. «So che c’è l’inquinamen­to nel terreno e non lo sottovalut­o, ma la mia vita è questa. Però mi chiedo: se il campo qui di fronte non si può coltivare perché noi possiamo coltivare l’orto? Se i parchi pubblici non potevano essere nemmeno calpestati perché per i nostri giardini non c’è alcun problema?». I 18 anni di ordinanze «contingibi­li e urgenti» non hanno lasciato il segno nelle case di chi ha passato tutta la vita a coltivare il proprio pezzo di terra come se nulla fosse. Con la prima ordinanza del 2002 chi aveva un’azienda agricola con campi e vacche ha dovuto chiudere: oggi i vecchi proprietar­i, a cui sono rimasti ettari di terra incolta e avvelenata e l’Imu da pagare, sperano di poter coltivare ancora.

C’è anche chi «crede» ai Pcb ma teme che sia ormai tardi per intervenir­e: «Dovevano pensarci prima. È dagli anni ‘60 — racconta Emilio Brescianin­i — che sappiamo che qualcosa non va. L’acqua all’epoca cambiava colore inspiegabi­lmente. A volte bruciava il granoturco, uccideva il raccolto». Nessuno, dicono, negli anni si è assicurato che i divieti fossero rispettati o ha raccomanda­to almeno di lavorare la terra usando adeguate cautele. Certo, ci sono i campioname­nti di Arpa e le analisi di Ats: «Vengono, fanno i prelievi e poi non sappiamo più niente», dice Giovanni. E cosi nei quartieri al veleno la vita continua scandita dalle abitudini di sempre, che né le carte né i divieti riescono a cambiare.

Basta infilarsi gli stivali, entrare nell’orto e controllar­e che il sole, l’acqua e la terra, seppure malata, facciano quel che hanno sempre fatto.

 ?? (Ansa) ?? Ortaggi tra i veleni Gianfranco Beschi, residente alla Noce, mostra fiero i suoi cavolfiori che non ha mai smesso di coltivare
(Ansa) Ortaggi tra i veleni Gianfranco Beschi, residente alla Noce, mostra fiero i suoi cavolfiori che non ha mai smesso di coltivare
 ?? (Foto Ansa) ?? Cavoli e porri Negli orti contaminat­i dai Pcb e dalle diossine della Caffaro in molti continuano a coltivare ortaggi anche vietati, come i porri. I residenti dicono che è un falso allarme e di non aver mai avuto controlli
(Foto Ansa) Cavoli e porri Negli orti contaminat­i dai Pcb e dalle diossine della Caffaro in molti continuano a coltivare ortaggi anche vietati, come i porri. I residenti dicono che è un falso allarme e di non aver mai avuto controlli

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