Leo Frobenius, il «profeta» dei pitoti camuni
Archeologia Un libro ricostruisce l’apporto di Frobenius allo studio delle incisioni camune negli anni Trenta L’etnologo tedesco si interessò di Valcamonica a partire dagli studi africani. La sua lettura colpì Pound e la Ghitti
«Libri pieni di buon senso — appuntò Ezra Pound — pieni di nutrimento». Forse nemmeno uno Strega darebbe tanta soddisfazione a un autore. E non sappiamo se Leo Frobenius, destinatario di un commento simile, ebbe l’occasione di leggerlo (dato che morì proprio quell’anno, il 1938).
Di certo, meritò il giudizio del poeta. E lo dimostra il rinnovato interesse del mondo della cultura che, a distanza di oltre ottant’anni dalla sua scomparsa, torna a occuparsi di questo etnologo tedesco. Personaggio dalle mille risorse — fu viaggiatore, pioniere, antropologo, scrittore, ricercatore instancabile e iniziatore della dottrina dei cicli culturali che proprio Pound definì il «metodo per lo studio intelligente della storia» — torna alla ribalta come figura intellettuale di riferimento nella veste di archeologo in Valle Camonica.
Qui infatti coordinò tre spedizioni di ricerca sull’arte rupestre, come ricostruisce lo scrupoloso lavoro di studio e analisi confluito nel bel volume «La Valle Camonica negli archivi storici dell’Istituto Frobienius. Documenti e immagini (1935-37)», a cura di Alberto Marretta e Giuseppina Ruggiero (Litos edizione, grafica di Lorenzo Caffi) e promosso dalla Soprintendenza Archeologia della Lombardia. «Una ricerca preziosa sul monitoraggio storico del patrimonio archeologico camuno, una storia poco conosciuta ma di grande interesse» sottolinea Sergio Bonomelli, presidente del Sito Unesco di arte rupestre.
Con accuratezza di dettagli e fotografie inedite, il libro ripercorre lo svolgimento delle missioni tedesche di Frobenius, che a Francoforte aveva fondato l’istituto di ricerca per la morfologia della civiltà, per raccogliere documentazione sulla neo-scoperta arte rupestre della Valle Camonica (la famosa «missione Anati» avrà infatti luogo solo nel 1956), rivelando un’assoluta novità «nel quadro delle ricerche per tecnologia, organizzazione e logistica nel periodo immediatamente precedente la Seconda Guerra Mondiale». Frobenius entrò in contatto con l’arte preistorica della Valle Camonica, così come fece con i miti, le leggende e le storie africane, attento alle evoluzioni delle diverse culture e al loro divenire storico, rispetto al quale elaborò il concetto di paideuma immaginando un parallelismo fra i cicli delle civiltà e quelli organici.
In Africa compì 12 spedizioni, documentando memorie, usi e costumi. Fra gli estimatori di Frobenius (oltre al già citato Ezra Pound), l’editore milanese Vanni Scheiwiller che, per talento, intuito e creatività incarnò quasi un personaggio leggendario (a lui è dedicata una mostra ancora in corso alla Galleria Nazionale di Roma) e che negli anni Sessanta, giovanissimo, prese a frequentare assiduamente il castello di Brunnenburg, dove Pound viveva con la figlia Mary de Rachewiltz, che ben ricorda il legame fra il padre e Frobenius, e la loro vivace corrispondenza epistolare.
L’ossessione di Frobenius per il mondo «primitivo» conquistò anche l’artista camuna Franca Ghitti, amica di Mary e di Vanni Scheiwiller con i quali, a partire dagli anni Settanta di ritorno da Nairobi, iniziò a condividere lunghi soggiorni a Brunnenburg ed ebbe così modo di conoscere più da vicino il personaggio di Frobenius. Come lui, anche la Ghitti avvertiva un’attrazione magnetica per l’arte e la cultura tribale, esattamente lungo quell’asse di collegamento e di rimandi fra Valle Camonica e Africa.
Coinvolta dall’amico editore Scheiwiller, che si era appassionato al lavoro di Frobenius, collaborò con lui per l’ edizione d’arte del «Liuto di Gassire», leggenda africana raccolta dall’etnologo tedesco (con nota di Ezra Pound) e tradotta da Siegfried Walter de Rachewiltz, marito di Mary. Fu realizzato nel 1975 un volume da collezione, in pochissimi esemplari, di indubbia ricercatezza grafica e artistica nel quale Franca Ghitti con le sue incisioni reinterpretò la leggenda. Lei, che pochi anni prima si era dedicata alle storie africane con le tavole di «Urafiki» e «Kenia Legend» (entrambe edizioni Scheiwiller), tornò dunque a lasciarsi ispirare dall’Africa e dall’arte primitiva, ispirata dal lavoro di ricerca di Leo Frobenius.
Attorno a lui si strinse dunque un mondo di intellettuali e artisti, le cui vite e interessi creativi s’intrecciarono lungo il filone della storia più antica. Che oggi torna in primo piano e riaccende l’attenzione sullo spessore culturale di uno studioso eclettico, originale e appassionato.