«Assistenza disabili, noi lasciati soli»
La decisione di chiudere lasciata ai singoli centri, poche le mascherine
La scelta di chiudere viene lasciata ai singoli centri e rispettare le precauzioni non è facile. Chi assiste le persone disabili chiede chiarezza e tutele.
Aperti nonostante il coronavirus, perché, al momento, non c’è una vera alternativa: l’ultimo è il caso di un ragazzo di uno dei centri diurni per disabili Gnutti di San Polo, risultato positivo al test. Il centro Italo e Beatrice Gnutti 1 è stato chiuso giovedì e venerdì, ma riaprirà regolarmente domani, tornando ad accogliere i suoi trenta utenti e gli operatori. È una delle contraddizioni di un sistema spaccato in due: da un lato la necessità di garantire assistenza ai disabili anche in emergenza coronavirus, dall’altro quella di non mettere a rischio persone già fragili, né chi si occupa di loro. Nel mezzo un’ulteriore incognita: se saranno disposti tamponi sul personale e sugli altri ospiti della struttura ancora non si sa. «Il caso — spiega Maria Villa Allegri, vicepresidente della Fobap — ci è stato segnalato dalla famiglia: abbiamo sospeso per due giorni il servizio anche per consentire le procedure di sanificazione degli ambienti, l’Ats probabilmente interverrà per le indagini, ma lunedì riapriremo regolarmente».
Negli ultimi giorni ogni struttura ha fatto per sé, adattando al contesto le indicazioni dell’Ats e della Regione, che ha disposto che i centri diurni, in quanto servizio essenziale, debbano rimanere aperti. «Ci adeguiamo rimodulando il lavoro — spiega Villa Allegri — ma il vero problema per queste persone è sapere chi si occupa di loro se i rispettivi familiari vengono ricoverati. Senza dimenticare che se fossero ricoverati loro avrebbero bisogno dell’assistenza di personale qualificato. È un nodo che va risolto al più presto». A poco, finora, è valso l’appello delle associazioni di famiglie di disabili, che hanno chiesto misure più puntuali: finora i decreti del governo hanno «dimenticato» di affrontare la questione, lasciando le decisioni alle Regioni e ai singoli centri. Che, se scelgono di chiudere in tutto o in parte le attività (Fobap aveva annunciato la chiusura dei centri diurni dal 24 febbraio al 1 marzo, ma ha riaperto il 26 su disposizione dell’Ats) lo fanno sotto la propria responsabilità.
«Nelle strutture c’è molta preoccupazione, anche se continuiamo a operare al meglio.
Abbiamo sollecitato il Comune e l’Ats per capire cosa fare, ma al momento abbiamo le mani legate» spiega Caterina Galdini, presidente della cooperativa Il Vomere di Travagliato. Molte famiglie scelgono di tenere a casa i propri figli: dei settanta utenti del centro diurno del Vomere ne sono rimasti trentacinque, e un calo si riscontra anche negli altri centri di città e provincia. Le misure precauzionali ci sono, ma con chi ha una disabilità sono più difficili da attuare che altrove: «I nostri utenti — continua Galdini — sono persone fragili, alcune con quadro clinico già compromesso, tutte che soffrono di disabilità più o meno gravi». Le attività esterne intanto sono sospese, quelle interne limitate a piccoli gruppi, non si sta troppo vicini e sono vietati gli abbracci, ma gli operatori, nella maggior parte dei casi, non usano le mascherine. «Noi le diamo in dotazione al personale ma trovarle è davvero difficile: il vero problema al momento è questo. Se il personale manifesta sintomi però rimane a casa», spiega Simone Casalini della cooperativa La Nuvola, che gestisce pure comunità residenziali: anche qui si sono registrati alcuni casi di positività. «Siamo preoccupati, per loro e per noi, come tutti, ma anche fiduciosi».
Un ulteriore vuoto normativo riguarda i Centri socioeducativi, in capo ai comuni. «Perché le scuole chiudono e noi no?», chiede Galdini. Domanda a cui dovrebbe rispondere il prossimo decreto, conclude Villa Allegri: la speranza è che disponga almeno l’avvio di attività didattiche di sostegno a domicilio.