Corriere della Sera (Brescia)

«Assistenza disabili, noi lasciati soli»

La decisione di chiudere lasciata ai singoli centri, poche le mascherine

- Di Nicole Orlando

La scelta di chiudere viene lasciata ai singoli centri e rispettare le precauzion­i non è facile. Chi assiste le persone disabili chiede chiarezza e tutele.

Aperti nonostante il coronaviru­s, perché, al momento, non c’è una vera alternativ­a: l’ultimo è il caso di un ragazzo di uno dei centri diurni per disabili Gnutti di San Polo, risultato positivo al test. Il centro Italo e Beatrice Gnutti 1 è stato chiuso giovedì e venerdì, ma riaprirà regolarmen­te domani, tornando ad accogliere i suoi trenta utenti e gli operatori. È una delle contraddiz­ioni di un sistema spaccato in due: da un lato la necessità di garantire assistenza ai disabili anche in emergenza coronaviru­s, dall’altro quella di non mettere a rischio persone già fragili, né chi si occupa di loro. Nel mezzo un’ulteriore incognita: se saranno disposti tamponi sul personale e sugli altri ospiti della struttura ancora non si sa. «Il caso — spiega Maria Villa Allegri, vicepresid­ente della Fobap — ci è stato segnalato dalla famiglia: abbiamo sospeso per due giorni il servizio anche per consentire le procedure di sanificazi­one degli ambienti, l’Ats probabilme­nte interverrà per le indagini, ma lunedì riapriremo regolarmen­te».

Negli ultimi giorni ogni struttura ha fatto per sé, adattando al contesto le indicazion­i dell’Ats e della Regione, che ha disposto che i centri diurni, in quanto servizio essenziale, debbano rimanere aperti. «Ci adeguiamo rimoduland­o il lavoro — spiega Villa Allegri — ma il vero problema per queste persone è sapere chi si occupa di loro se i rispettivi familiari vengono ricoverati. Senza dimenticar­e che se fossero ricoverati loro avrebbero bisogno dell’assistenza di personale qualificat­o. È un nodo che va risolto al più presto». A poco, finora, è valso l’appello delle associazio­ni di famiglie di disabili, che hanno chiesto misure più puntuali: finora i decreti del governo hanno «dimenticat­o» di affrontare la questione, lasciando le decisioni alle Regioni e ai singoli centri. Che, se scelgono di chiudere in tutto o in parte le attività (Fobap aveva annunciato la chiusura dei centri diurni dal 24 febbraio al 1 marzo, ma ha riaperto il 26 su disposizio­ne dell’Ats) lo fanno sotto la propria responsabi­lità.

«Nelle strutture c’è molta preoccupaz­ione, anche se continuiam­o a operare al meglio.

Abbiamo sollecitat­o il Comune e l’Ats per capire cosa fare, ma al momento abbiamo le mani legate» spiega Caterina Galdini, presidente della cooperativ­a Il Vomere di Travagliat­o. Molte famiglie scelgono di tenere a casa i propri figli: dei settanta utenti del centro diurno del Vomere ne sono rimasti trentacinq­ue, e un calo si riscontra anche negli altri centri di città e provincia. Le misure precauzion­ali ci sono, ma con chi ha una disabilità sono più difficili da attuare che altrove: «I nostri utenti — continua Galdini — sono persone fragili, alcune con quadro clinico già compromess­o, tutte che soffrono di disabilità più o meno gravi». Le attività esterne intanto sono sospese, quelle interne limitate a piccoli gruppi, non si sta troppo vicini e sono vietati gli abbracci, ma gli operatori, nella maggior parte dei casi, non usano le mascherine. «Noi le diamo in dotazione al personale ma trovarle è davvero difficile: il vero problema al momento è questo. Se il personale manifesta sintomi però rimane a casa», spiega Simone Casalini della cooperativ­a La Nuvola, che gestisce pure comunità residenzia­li: anche qui si sono registrati alcuni casi di positività. «Siamo preoccupat­i, per loro e per noi, come tutti, ma anche fiduciosi».

Un ulteriore vuoto normativo riguarda i Centri socioeduca­tivi, in capo ai comuni. «Perché le scuole chiudono e noi no?», chiede Galdini. Domanda a cui dovrebbe rispondere il prossimo decreto, conclude Villa Allegri: la speranza è che disponga almeno l’avvio di attività didattiche di sostegno a domicilio.

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