Federica Porta su Instagram invita i giovani a stare a casa
La storia di una famiglia con il virus: genitori e nonna in ospedale i figli chiusi in casa. Il maggiore darà la laurea in infermieristica dalla quarantena
La voce di Laura (il nome è di fantasia perché le circostanze lo richiedono), 54 anni compiuti da un mese, è come al solito tonica anche se stanca, si sente un po’ a pezzi ma per lei il quadro clinico è in miglioramento: niente più febbre, via l’ossigeno che portava sollievo all’affanno. Per i congiunti, il marito, 56 anni, che condivide con lei una stanza in Terza medicina al Civile e la madre, 81enne, stesso reparto ma qualche stanza più in là , l’iter non è ancora in discesa: bisogna scrollarsi di dosso la febbre e il respiro va ancora aiutato con l’ossigeno.
«Sì, perché questo male da una strana sensazione è come se ti portassi un peso dentro, non mi dava l’impressione che fosse una semplice influenza anche con la febbre, disturbi intestinali e un vago senso di nausea». Laura era malata da qualche giorno e, nonostante abiti in uno dei paesi fra i più colpiti dal virus, pensava al malanno di stagione, cosa normale per una che fa la commessa. Anche il suo medico di famiglia l’aveva rassicurata con le terapie di sempre e un antibiotico quando una lastra al torace aveva evidenziato un po’ di bronchite. «Poi — racconta dal suo letto — si sono ammalati anche mio marito e mia madre. La cosa ha preoccupato molto mio figlio maggiore di 24 anni laureando di infermieristica, che si è rivolto al medico di base di mio marito. Non finirò mai di ringraziarlo: dopo averci visitato ci ha detto di andare al Civile, le mie condizioni stavano peggiorando».
In ospedale arrivano alle 15 e vengono accolti nelle tende del triage. «Sembrava veramente di essere in guerra, negli ospedali da campo» continua. Tra lunghe attese, il gruppetto famigliare viene pilotato da una tenda all’altra: prima la vista e gli esami del sangue, poi la lastra ed infine il tampone. «Dopo aver soggiornato nelle tende — spiega ancora Laura — siamo finiti in un grande capannone in muratura (la vecchia lavanderia dell’ospedale, ndr) con le nostre coperte termiche, ospitati sulle cuccette, ma almeno
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Il triage e le lunge attese nelle tende come in un ospedale da campo Per noi una terapia sperimentale dai buoni effetti
qui c’era il bagno. Il personale era molto gentile, ma è stata un’esperienza che non scorderò mai. Per fortuna eravamo tutti e tre vicini, mia madre anziana era molto disorientata, senza di noi si sarebbe persa». La mamma è stata la prima ad essere ricoverata quando il tampone è risultato positivo al coronavirus, ai coniugi febbricitanti è toccato un altro passaggio di qualche ora in pronto soccorso (questa volta quello vero, in muratura). «Ci hanno sistemato su due poltrone in attesa di un posto letto» ricorda. In reparto sono arrivati a mezzogiorno del giorno successivo dopo 21 ore di attesa e in terza medicina è iniziata la battaglia vera contro il Covid19. «I medici ci hanno proposto una terapia sperimentale, un mix di antibiotici e antivirali la cui efficacia è ancora tutta da accertare. Abbiamo accettato di sottoporci a questa terapia e l’esito per ora è buono: io non ho più febbre e ho riacquistato un po’ di appetito. Mio marito è in miglioramento e mia mamma recupera piano piano anche se è ancora molto stanca». Il reparto è un campo di battaglia, l’ospedale è sotto pressione, ma l’assistenza si mantiene su livelli alti: «Medici e infermieri entrano il meno possibile in queste stanze infette, ma non si risparmiano nell’assistenza e nell’attenzione nei nostri confronti».
Laura dal suo letto di ospedale sta anche facendo i conti con la famiglia smembrata. Lei, il marito e la madre al Civile, i figli di 24 e 21 anni a casa in quarantena. «Gli hanno detto di non uscire di casa per due settimane e di venire in ospedale per il tampone solo in caso di sintomi. Per ora va tutto bene a casa, il maggiore che è stato bravissimo ad intuire il nostro malessere e a portarci in ospedale, giovedì, salvo imprevisti dell’ultima ora, discuterà la laurea in infermieristica per via telematica». Una seduta dalla quarantena, sperimentando sul campo uno dei maggiori eventi più critici di tutti i tempi della sanità italiana. A Laura e alla sua famiglia rimarrà un’esperienza difficile da dimenticare. «Lo so - afferma - di questa brutta esperienza mi resterà la paura, rimarrò segnata dal timore che il virus possa in qualche modo ripresentarsi».
E sarà un sobbalzo al cuore ad ogni colpo di tosse, ad ogni linea di febbre, che accomunerà le centinaia di persone che stanno lottando contro il virus.