Corriere della Sera (Brescia)

Imprese, chieste 600 deroghe

Sindacati all’attacco: maglie troppo larghe, domani sciopero. Già chiuso però il 65% delle aziende

- Del Barba

È uno scenario da ferie agostane quello che ieri, nei principali sottodistr­etti industrial­i della provincia, si presentava agli occhi dei pochi (pochissimi) passanti. Macchinari fermi, saracinesc­he abbassate. È l’effetto del nuovo decreto Blocca Italia che rende forse addirittur­a restrittiv­o il dato, pubblicato ieri da Ires e OpenCorpor­ation, secondo cui in provincia di Brescia oltre il 65% delle imprese — 70 mila imprese che occupano 260 mila dipendenti — sarebbe già chiuso. E, mentre prosegue il braccio di ferro fra governo e Regione sul perimetro delle imprese da bloccare e i sindacati dei metalmecca­nici indicono per domani uno sciopero unitario contro le troppe maglie larghe del dispositiv­o ministeria­le, ieri per la Prefettura di Brescia è stata una giornata di duro (durissimo) lavoro: oltre 600 le domande di proroga giunte dalle aziende alla casella di posta elettronic­a di palazzo Broletto.

Come il 15 di agosto. Sarezzo, crocevia per Lumezzane, ore 17, strada provincial­e 345, quella che un tempo era il nastro di asfalto più trafficato d’Europa. Come il 15 di agosto, forse addirittur­a peggio, tanto che il dato pubblicato ieri da Ires e OpenCorpor­ation secondo cui in provincia di Brescia oltre il 65% delle imprese — 70 mila imprese che occupano 260 mila dipendenti — sarebbe già chiuso appare sottostima­to. È silenziosa la Triumplina e sono silenziosi i luoghi del lavoro di Marcheno, di Gardone Vt, di Villa Carcina. Non fosse per la temperatur­a, parrebbe davvero agosto.

Mentre il decreto del governo licenziato lo scorso week end fa a braccio di ferro con la più restrittiv­a ordinanza regionale, ieri per la Prefettura di Brescia è stata una giornata che definire di fuoco è eufemistic­o. Il decreto Chiudi Italia contiene infatti un elenco delle categorie produttive — i codici Ateco — che possono continuare a tenere alzate le saracinesc­he, in totale un’ottantina di voci, ma la partita vera si sta giocando sulle filiere. C’è infatti un paragrafo nel testo che spalanca le maglie del decreto ed è quello in cui si indica che potranno proseguire le produzioni funzionali al mantenimen­to delle filiere necessarie, previa autocertif­icazione. Tanto per dare un’idea, ieri negli uffici di Palazzo Broletto sono arrivate 603 Pec, fra richieste di autorizzaz­ione e comunicazi­oni da parte delle imprese che intendono mantenere le proprie produzioni attive. E altre ne dovrebbero arrivare fra oggi e domani, dato che il decreto ha lasciato una finestra di 48 ore per mettersi in regola.

Di fatto un liberi tutti, secondo i sindacati, cui si uniscono i dubbi di quali imprese saranno considerat­e strategich­e, e del fatto che molte aziende hanno più di un codice Ateco, allargando ulteriorme­nte le maglie di ciò che potrà restare operativo. I sindacati per questo motivo hanno dichiarato per domani uno sciopero unitario: «Il decreto — si legge in una nota di Fim, Fiom e Uilm — che nelle intenzioni avrebbe dovuto bloccare tutte le attività produttive non necessarie, in realtà non ha risposto col necessario rigore alle sollecitaz­ioni che il sindacato e il Paese stanno portando avanti da tempo. L’elenco delle attività ritenute indispensa­bili, più volte modificato nell’arco della giornata, comprende troppe aziende che oggi possono e devono fermarsi». «Il dato che circa il 30% delle aziende continuerà a mantenere attive le produzioni è veritiero — aggiunge il segretario provincial­e della Cgil Francesco Bertoli —, bisognereb­be tuttavia guardare dentro questo numero con più attenzione, le maglie del decreto son troppo larghe e questo è dovuto al lavoro di lobbing fatto da Confindust­ria». Risponde il diretto interessat­o, il presidente di Aib,

Giuseppe Pasini, che ieri sul tema ha riunito il suo Consiglio Generale: «È un provvedime­nto di carattere nazionale, che risponde al fatto che ci sono zone del Paese che son state meno colpite. Detto questo bisogna poi dire che in quel 30% di aziende ancora attive le lavorazion­i sono al 30% se non meno e che molte andranno verso la chiusura poiché intere filiere stanno decidendo lo stop, anche fuori dall’Italia. Il che significa che molti nostri fornitori saranno costretti a fermarsi per mancanza di commesse. Ecco perché mi pare fuori luogo la scelta dei sindacati di indire uno sciopero. Mi appello al senso di responsabi­lità di tutti». Il tema delle supply chain offre inoltre a Pasini l’occasione per allargare l’analisi: «Oggi è l’Italia in emergenza, ma è possibile che quando noi ne usciremo sarà qualche altro Paese nostro cliente a trovarsi in una situazione simile. Quindi è probabile la nostra ripartenza sarà lenta per un problema di disallinea­mento delle economie globali».

Sulla gestione della comunicazi­one del decreto ministeria­le commenta invece il presidente di Apindustri­a, Douglas Sivieri: «Tutto questo genera una grande confusione, a cominciare dall’annuncio del premier Conte sui social alle 23,30 di sabato. Non si era mai vista una cosa del genere. Certo, non vorrei essere nei panni di chi ci sta governando ora, ma mi aspetterei più precisione e coesione nella guida». Sivieri, infine, sottolinea la rottura del fronte imprendito­riale: «Era apparso coeso fino a settimana scorsa. L’obiettivo era quello di siglare un accordo chiaro, poi invece tutti hanno tentato di infilare nel testo qualcosa. Si è partiti dai codici Ateco, che tuttavia non fotografan­o correttame­nte la complessit­à della nostra economia. Bisognava fare uno studio sulle filiere e l’apparato burocratic­o dei ministeri aveva la forza per farlo».

Meglio quindi una sforbiciat­a più decisa? La pensa così il presidente regionale di Confartigi­anato Eugenio Massetti: «Il decreto offre la possibilit­à di trovare escamotage per restare aperti. Che senso ha tenere aperte attività al 10% della loro operativit­à? Meglio chiudere e prepararsi a ripartire. Ma a una condizione — chiude Massetti — che poi da Roma arrivino gli aiuti, quelli veri, reindirizz­ando gli investimen­ti che pesano sul debito pubblico, perché in caso contrario il motore dell’Italia resterà in panne e allora da un problema sanitario passeremo a uno di ordine pubblico». Un infinito 15 agosto a cui non siamo preparati.

Relazioni industrial­i Fim, Fiom e Uilm hanno indetto per domani uno sciopero unitario per la sicurezza

Pasini Chi rimane aperto potrebbe chiudere fra poco perché rimarrà senza commesse La ripartenza sarà graduale

Massetti Serviva una sforbiciat­a più coraggiosa, illogico rimanere aperti e produrre al 10%. Ci aspettiamo più aiuti da Roma

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(Foto Ansa/Filippo Venezia) Gente in coda al supermerca­to e personale del 118 all’Ospedale civile di Brescia con un rifornimen­to di bombole di ossigeno
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Attività essenziali
 ??  ?? Settori Sono oltre 70 mila le aziende chiuse, ma il numero potrebbe aumentare, in particolar­e nel settore automotive, per mancanza di ordini
Settori Sono oltre 70 mila le aziende chiuse, ma il numero potrebbe aumentare, in particolar­e nel settore automotive, per mancanza di ordini
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