Valcamonica, galeotto il sabato sulle piste
Piancamuno, 1 marzo. Bienno, il giorno dopo. Darfo, il 5 marzo. Come una pallina che sbatte nel flipper il coronavirus all’inizio saltava da un punto all’altro della valle Camonica senza nessuna chiara connessione con il rimbalzo precedente, ma in pochi giorni aveva raggiunto la gran parte dei 41 comuni collocati fra Pisogne e Ponte di Legno, tutti appartenenti all’Ats della Montagna e serviti dall’Asst Valcamonica. L’ultimo bollettino ufficiale diramato ieri sera dalle autorità sanitarie parlava di 478 casi conclamati e di 31 deceduti, ma l’impressione è che la stima del «dieci volte di più» non sia molto lontana dalla realtà. C’è solo un comune che continua a sfuggire alle statistiche: a Monno non risultano contagiati.
In un comprensorio che conta 100 mila abitanti, il numero dei malati sfiora il 5% del totale della popolazione ma gli annunci funebri disseminati lungo strade mai così vuote parlano chiaro: l’identikit delle vittime preferite dal Covid19 è presto fatto: uomini e ultrasettantenni. «Tra i nostri dipendenti abbiamo circa il 7% di malati» spiega Maurizio Galavotti, il direttore generale dell’Asst Valcamonica, che individua alcune tendenze: «Qui il coronavirus è arrivato circa una settimana dopo il caso di Codogno e qualche giorno dopo quelli della bassa bresciana». Il 7 marzo ressa agli impianti per lo sci: è stata l’incubatrice ideale per propagare il virus. «Oggi finalmente — conclude Galavotti — la popolazione ha capito la gravità della situazione e il numero di persone in giro è diminuito». La chiusura delle piste ciclabili ha confermato che nessuno è immune. (g.ar.)