Corriere della Sera (Brescia)

Omicidio Bozzoli Chiesto il processo per il nipote Giacomo

Il giallo di Marcheno La svolta quattro anni dopo la scomparsa dell’imprendito­re «A processo Giacomo» e archiviazi­one per tre

- di Mara Rodella

Sono passati quattro anni e mezzo. Da quella sera dell’8 ottobre 2015, quando dalla sua fonderia di Marcheno, alle 19.11 Mario Bozzoli, 50 anni (titolare insieme al fratello) chiamò a casa la moglie: «Sono un pochino in ritardo, mi faccio una doccia e arrivo a prenderti». Avrebbero dovuto andare a cena sul lago di Garda. Ma quella è stata l’ultima volta che la signora Irene ha sentito la voce del marito. Che a casa non l’ha raggiunta più. Sparito. Nel nulla. E adesso, dalla procura generale — che ha avocato l’inchiesta sulla scomparsa dell’imprendito­re nel marzo 2018 — arriva la svolta.

Le indagini sono state formalment­e chiuse in febbraio. Il procurator­e generale reggente, Marco Martani (che al caso per anni ha lavorato al fianco dell’ex pg Pier Luigi Maria Dell’Osso) ha chiesto al gip il rinvio a giudizio per omicidio volontario aggravato dalla premeditaz­ione e distruzion­e di cadavere nei confronti di uno dei nipoti di Mario, Giacomo Bozzoli, da sempre sotto la lente degli inquirenti più di quanto non lo fossero le altre tre persone iscritte nel registro degli indagati. E a carico dei quali si è deciso di non esercitare l’azione penale. Contestual­mente, è stata chiesta l’archiviazi­one del procedimen­to, invece, a carico del fratello Alex, a sua volta nipote di Mario Bozzoli (rispondeva delle medesime contestazi­oni) e per i due operai della fonderia, Oscar Maggi e Akwase «Abu» Aboagye che invece erano accusati di favoreggia­mento personale, per non aver riferito agli inquirenti tutto ciò che in realtà, secondo chi indaga, avrebfonde­ria bero visto o comunque saputo in relazione a questa vicenda. Ma nei confronti di questi tre indagati «non sono emersi elementi di prova sufficient­i a dimostrarn­e il coinvolgim­ento nei reati ipotizzati». Tutti, sia chiaro, hanno sempre negato ogni addebito.

Ancora non è dato di sapere come sia stato ucciso, Mario Bozzoli. Nè dove il suo corpo sia stato nascosto. Gettato in uno dei forni nella sua fabbrica presumibil­mente dopo essere stato tramortito per la procura ordinaria, ma non per quella generale, in linea con le conclusion­i dei super consulenti, a partire dall’anatomopat­ologa Cristina Cattaneo, cui è toccato analizzare decine di sacchi di scorie di fonderia, alla ricerca di un elemento riconducib­ile all’imprendito­re. La sua protesi dentale in titanio, per esempio. Nessuna traccia: dentro e fuori il forno, tra i «rifiuti» speciali o nei filtri. Per la pg sarebbe stato aggredito «repentinam­ente e proditoria­mente nel capannone della mentre, terminata l’attività lavorativa, sceso dal muletto adibito al trasporto di materiale metallico, si stava recando nello spogliatoi­o riservato ai dirigenti». Tutto si sarebbe consumato al massimo in tre quarti d’ora.

In azienda c’erano telecamere esterne e interne. Ma tutte, tranne quella che inquadrava l’ingresso principale, stando agli accertamen­ti disposti dagli inquirenti sarebbero state «spostate» non meno di otto giorni prima della scomparsa di Mario Bozzoli, e in modo del tutto irrazional­e, puntando su angoli ciechi e insignific­anti. Quella sera di ottobre Giacomo ordinò a Oscar di fare una colata — erano le 20 — salvo poi ricevere disposizio­ne contraria da Alex poco dopo. Gli inquirenti non escludono il corpo di Mario sia stato trasportat­o fuori dalla fonderia «dopo essere stato infilato nei sacchi di iuta, impermeabi­li, o avvolto nei teli in modo da non lasciare tracce».

Un delitto dal movente economico. Maturato in un clima di presunte tensioni famigliari, in un contesto di «rabbia, astio e contrasti crescenti» — operai e conoscenti parlarono di «rapporti ormai deteriorat­i» — e pagamenti non propriamen­te legittimi. Al momento della scomparsa di Mario un nuovo opificio, a Bedizzole, era quasi completato: costruito da Adelio Bozzoli, fratello e socio a Marcheno, padre di Giacomo e Alex. Spuntarono fatture — una su tutte, da 47 mila euro è stata trovata nel suv di Mario — riconducib­ili a lavori svolti nei capannoni di Bedizzole ma addebitati alla Bozzoli di Marcheno: «Era il sospetto di mio marito, poi diventato una certezza» disse la signora Irene, amareggiat­a del fatto che dopo il dissequest­ro dell’azienda «ogni oggetto riconducib­ile a mio marito, compreso il suo armadietto, è stato fatto sparire». Addirittur­a, negli anni, più volte, Giacomo — propenso, si sospetta, a prodotti più economici e redditizi — avrebbe manifestat­o (anche nel 2011, con la ex, sentita in incidente probatorio) l’intenzione di «eliminare» lo zio: proponendo soldi agli operai affinché gli facessero del male o pianifican­do un piano che prevedesse l’aiuto dell’ex compagna.

«Chi ha ucciso mio marito pagherà» ha più volte detto Irene, con un rinnovato senso di fiducia nei confronti del lavoro della magistratu­ra: «Inizio a credere che forse Mario potrà avere giustizia».

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Le scorie della fonderia sono state tutte analizzate alla ricerca di tracce di Mario Bozzoli (sopra) sparito nella fabbrica di Marcheno la sera dell’8 ottobre 2015
Il caso Le scorie della fonderia sono state tutte analizzate alla ricerca di tracce di Mario Bozzoli (sopra) sparito nella fabbrica di Marcheno la sera dell’8 ottobre 2015

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