In coma per 14 giorni Malattia devastante
Il racconto choc di un contagiato della Bassa
«Stavo bene, non ho mai fumato, ma ho rischiato di morire nonostante abbia solo 54 anni. Ai bresciani dico: state in casa, questo virus è devastante». È la testimonianza choc di un sopravvissuto al coronavirus, intubato e tenuto in coma farmacologico per due settimane.
«Le racconto tutto ma non metta il mio nome. Voglio tutelare i miei figli, la mia famiglia. Quello che ho vissuto è stato devastante. E non ne sono ancora uscito del tutto. Ma se la mia sofferenza può servire a far capire alla gente che si deve proteggere, che non deve uscire di casa, è giusto che parli». A narrare con un filo di voce del suo viaggio all’inferno e del purgatorio in cui ancora si trova è un 54enne della Bassa. Un omone sano, un gran lavoratore senza alcuna patologia pregressa. E che non ha mai fumato. Ieri, ad un mese di distanza dai primi sintomi, era ancora ricoverato in ospedale ad Ome. Attaccato ad un respiratore.
Quando si sono manifestati i primi sintomi?
«Era il 26 febbraio. Avevo tosse e qualche linea di febbre. Ho pensato di stare a riposo e di staccare un po’ dal lavoro. Il giorno dopo però avevo febbre molto alta e quindi sono andato dal mio medico. Mi ha detto che era una brutta bronchite e mi ha dato una cura antibiotica. Tre giorni dopo la febbre era ancora alta, mi ha dato un antibiotico più forte e mi ha mandato a fare una lastra ai polmoni, dalla quale non è emerso nulla. Altri due giorni di antibiotico ma la febbre non scendeva mai nemmeno con la tachipirina».
Nessuno le ha detto che poteva trattarsi di coronavirus?
«No. I primi giorni di marzo, quando ho iniziato a leggere sui giornali che anche nel mio paese c’erano diversi casi di contagiati, ho telefonato al numero verde e ho chiesto che mi facessero il tampone. Mi hanno risposto che i tamponi venivano fatti solo alle persone di ritorno dalla
Cina o che erano state a stretto contatto con individui infetti. Ho chiamato il 112 e sostanzialmente mi hanno risposto la stessa cosa. La febbre non passava ed il 6 marzo mi sono recato al pronto soccorso di Montichiari. Mi hanno fatto il tampone, ero positivo al Covid 19. Mi hanno isolato e mi hanno dato l’ossigeno. Mi è sembrato di rinascere. Mi sbagliavo. Mi hanno fatto diversi prelievi arteriosi finché si presentata una dottoressa, mi ha detto di essere il primario della rianimazione dell’ospedale di Ome e che le cose non andavano per niente bene: mi avrebbero sedato e portato nel reparto di terapia intensiva perché la mia polmonite stava peggiorando. Ho pianto. Da lì si è spenta la luce. Quattordici giorni di coma farmacologico».
Come è stato il risveglio? «Ho problemi alla vista, piaghe da decubito, non riesco a camminare, ho ancora bisogno dell’ossigeno per respirare. Ho pianto quando ho visto davanti a me i miei genitori ottantenni, che sono venuti a trovarmi. Che incoscienti (piange). Ora riesco a parlare al telefono con i miei figli, che sono in quarantena ma grazie a Dio stanno bene. E oggi sono riuscito a pranzare senza sporcarmi».
Ha idea di dove può aver contratto il virus?
«Io penso di essere stato contagiato in un locale da ballo che ho frequentato pochi giorni prima di ammalarmi, quando ancora non c’era nessuna restrizione per bar e locali».
Che messaggio vuole lasciare a chi dice che il coronavirus colpisce in prevalenza gli anziani, a coloro che stanno sottovalutando l’epidemia?
«Dico che devono proteggersi; proteggete voi, i vostri cari, la popolazione. Non uscite di casa, lavatevi sempre le mani, adottate tutte le precauzioni possibili. Non si sa ancora nulla di questa malattia, ma è devastante. Io non avevo mai avuto problemi di salute e non sono un anziano. Dopo un mese di coronavirus sono ancora in queste condizioni. Non tornerò a casa prima di una settimana. Qui ho visto dei compagni di stanza morire in poche ore. Io ho la fortuna di poter ricominciare a vivere».