Rsa, mancano operatori e c’è poca protezione
Nelle case di riposo in città non si registrano contagi ma le forniture scarseggiano e gli operatori vanno a lavorare in ospedale. L’ombra del virus a Coccaglio
«A un mese di distanza dall’inizio dell’emergenza da coronavirus si continua a dimenticarsi delle rsa. Siamo a tutti gli effetti strutture sanitarie e abbiamo necessità di tutelare ospiti e operatori». Stefania Mosconi, direttrice della Fondazione Casa di Dio, riassume amarezza e preoccupazione, diffuse in molte case di riposo bresciane tra i punti nevralgici della catena del contagio. Mancano dispositivi di protezione adeguati e la sensazione è quella di confrontarsi disarmati con un nemico spietato. «Abbiamo ordini, pagati in anticipo, fermi in dogana da settimane. Dall’Ats — spiega ancora Mosconi — abbiamo avuto una sola fornitura di mascherine chirurgiche». La dedizione di tutto il personale, nelle attività di assistenza e animazione — potenziate per ovviare all’abolizione delle visite dei parenti — non cancella il rischio. «Abbiamo deciso che chi presenta i sintomi anche solo di un raffreddore deve stare a casa». Così si è creata una sorta di bolla protettiva a Casa di Dio, dove non si contano pazienti malati. «Ma, in questo momento, su un organico di 400 dipendenti sono 50 quelli a casa. Noi vorremmo che fossero fatti tamponi periodici sugli operatori per garantire maggiore sicurezza per tutti». Ci vorrebbero nuove assunzioni che «però vengono assorbite dalle strutture ospedaliere e c’è chi, addirittura, lascia le case di riposo per lavorare in ospedale».
Accorato l’appello del Movimento per i diritti del malato, per voce della presidente Marisa Clementoni Tretti. «Non costringiamo questi lavoratori a diventare come gli spagnoli — il riferimento è agli operatori sanitari di una struttura spagnola che hanno abbandonato gli ospiti anziani per il timore di contagio — che evidentemente loro malgrado hanno dovuto abbandonare il campo di battaglia per non mettere a repentaglio la loro vita stessa. Vi preghiamo di dare a questi curanti ciò di cui hanno bisogno».
Le difficoltà di gestione sono trasversali. Perché se non mancano i dpi, bisogna, comunque, ripensare la quotidianità. «Nelle nostre strutture di Brescia, Arici Sega e Villa Elisa, non abbiamo malati — racconta il presidente della Fondazione Brescia Solidale, Giacomo Mantelli — ne abbiamo qualcuno nelle residenze di Desenzano e Gussago, ma la situazione è sotto controllo. Lo sforzo è stato quello di riconvertire le attività di assistenza e animazione, spiegando agli anziani perché non potessero più ricevere le visite dei parenti, sostituite con le video chiamate, e perché gli operatori siano bardati con camici e mascherine».
Resta sullo sfondo l’eco dei molti decessi per Covid19, registrati nelle rsa di Barbariga e Quinzano. E non è escluso che alcuni dei 24 anziani (su 86 residenti) morti nell’ultimo mese alla Mazzocchi di Coccaglio possano essere stati colpiti dal virus. «La certezza non c’è perché non mi risulta siano stati eseguiti tamponi né sugli ospiti, né sul personale (che per il 30% risulta malato)», spiega il sindaco e presidente della Fondazione, Alberto Facchetti. «In questi giorni non abbiamo ulteriori criticità. Manteniamo misure stringenti, igieniche e di isolamento, adottate prima dell’entrata in vigore di decreti e ordinanze».