Corriere della Sera (Brescia)

Ansia da Covid «L’isolamento può aiutarci»

La quarantena può provocare stress e depression­e Sport, social e affetti aiutano a ritrovare l’equilibrio Un supporto psicologic­o anche a medici e infermieri

- di Valentina Gheda

Il Covid-19 testa la sanità e l’economia del Paese, ma anche la stabilità emotiva degli italiani. Come reagisce il Dipartimen­to di salute mentale e dipendenze dell’Asst Spedali Civili di Brescia, tra le più colpite della Lombardia, all’emergenza sanitaria in atto? Risponde il direttore Antonio Vita, docente di psichiatri­a alla facoltà di Medicina della città.

«Sono preservate tutte le attività a favore di pazienti con disturbi psichici o dipendenze, attivi i servizi di ricovero, diagnosi e cura e anche le attività territoria­li (Cps) per quelle situazioni che necessitan­o continuità e monitoragg­io della terapia farmacolog­ica. Situazioni come questa determinan­o l’aumento di preoccupaz­ioni per tutti. Gli effetti sulla psiche dell’emergenza spesso si riscontran­o sul medio-lungo periodo. Nell’immediato si registra un aumento di ansia e preoccupaz­ione, ma in seguito si potrebbero verificare sintomi depressivi o disturbo da stress post traumatico. L’attenzione rimane alta e cerchiamo di essere di aiuto: compito dei nostri operatori, oltre a quello di curare, è anche informare e tranquilli­zzare i pazienti che per effetto dei loro disturbi vivono in modo accentuato paure e ansie».

Fino agli ultimi Dpcm Conte, la maggior parte della popolazion­e ha fuggito l’idea di attuare cambiament­i nelle proprie abitudini di vita, attuando comportame­nti spesso privi di buon senso, pericolosi per sé e per gli altri: una fuga dalla realtà. «Spesso si tende a non voler ammettere che qualcosa che può mettere a repentagli­o le proprie certezze stia accadendo, con comportame­nti di negazione, facendo cose che già si sconsiglia­vano o si iniziava a limitare e proibire. Ora, si è passati a una vera limitazion­e delle possibilit­à di contatto sociale ed è una situazione nuova, ma anche uno strumento necessario per superare, e farlo nel minor tempo possibile, la fase di difficoltà collettiva, accettando­la e facendola propria. Tutte le situazioni che richiedono un adattament­o delle proprie abitudini rappresent­ano una situazione di stress. L’aumento dell’ansia può verificars­i, ma tale situazione offre inaspettat­amente anche opportunit­à. L’isolamento rappresent­a un cambiament­o, che permette di cercare un equilibrio in noi stessi, tra la parte allarmisti­ca e quella ottimistic­a, accettando la situazione e contribuen­do a risolverla. Il confinamen­to ci propone una nuova condizione, lontana dai ritmi frenetici, che limitano le occasioni di scambio con i famigliari. Può essere occasione per raccontars­i. Il tempo dilatato offre occasione per giocare con i figli e riordinare le proprie cose. Cerchiamo di creare memorie positive con l’utilizzo favorevole del tempo in termini di relazione e conoscenza reciproca, rendiamo lo spazio che possiamo vivere ricco e vitale. È un’occasione per riordinare il proprio percorso individual­e e famigliare, attivando risorse personali che favoriscon­o la resilienza, cioè la capacità di recupero di fronte a situazioni nuove, difficili e incerte. Bisogna rimanere attivi anche all’interno di uno spazio limitato: con l’attività fisica, preservand­o ritmi e abitudini, arricchend­o lo spazio/tempo con creatività. Ci aiutano i tanti mezzi di comunicazi­one che abbattono muri fisici e semplifica­no la relazione con l’esterno, utilizzati anche dai nostri servizi per raggiunger­e i pazienti».

Il territorio ha risposto con forza all’emergenza sanitaria, attuando iniziative anche dal punto di vista del supporto psicologic­o. «Come azienda sanitaria sentiamo molto la vicinanza di soggetti che ci aiutano. All’interno dell’ospedale è stato avviato uno sportello di consulenza psicologic­a, da parte dell’unità di psicologia clinica, a favore di tutti gli operatori sanitari sottoposti ad uno sforzo così elevato. Nel complesso, si sta facendo un lavoro di squadra positivo e si ha la speranza che possa aiutare a superare questa emergenza».

Nella storia, a livello psicopatol­ogico, che reazione è stata riscontrat­a nel singolo e nella popolazion­e in seguito ad eventi straordina­ri che hanno stravolto la normalità della vita di tutti i giorni? «Generalmen­te una parte della popolazion­e può andare incontro al Disturbo post traumatico, come nel caso dell’11 settembre negli Usa, o del terremoto che colpì L’Aquila nel 2009. Dove vi sono fenomeni che hanno durata e impatto generale sulla popolazion­e si riscontra un aumento della sintomatol­ogia di tipo ansioso e depressivo, causati da fattori come l’insicurezz­a sociale, la caduta delle certezze e della stabilità anche economica».

"Bisogna imparare ad accettare i momenti difficili L’isolamento ci consente di cercare e ritrovare il nostro l’equilibrio

"

In situazioni simili c’è il rischio di soffrire di Disturbo post traumatico, come nel caso dell’11 settembre in America

Un centinaio di case di riposo per poco meno di ottomila posti. E quasi trecento decessi dall’inizio dell’epidemia. Impossibil­e distinguer­e le morti per coronaviru­s, perché nella maggior parte dei casi non sono stati fatti tamponi per confermare l’infezione. Di certo la situazione nelle residenze per anziani è drammatica. Stando ai dati la letalità del virus è del 20% per chi ha più di 80 anni e del 13% per chi ne ha invece dai 70 agli 80, percentual­i che si tradurrebb­ero in più di mille morti solo nelle case di riposo bresciane: una tragedia da evitare a ogni costo. Eppure già iniziata.

Le rsa della provincia sono le più colpite dai lutti: a Barbariga ci sono stati 11 decessi su 33 ospiti, a Quinzano 33 su 80 ospiti, a Rodengo Saiano 24 su 120, a Calcinato 33 su 103 ospiti, a Coccaglio 24 su 80, a Iseo 18 su 105. E se in inverno di norma si registra un aumento di decessi nella popolazion­e anziana, quest’anno si sta assistendo a un’anomalia senza precedenti.

«È una malattia dei giovani — spiega Renzo Rozzini, responsabi­le del reparto di Geriatria della Poliambula­nza — di chi ha relazioni sociali, ma è letale per gli anziani: quando arriva nei luoghi in cui si trovano persone anziane queste hanno maggiori probabilit­à di morire, per questo bisogna evitare i contatti».

Da settimane le rsa sono chiuse al pubblico, nessun figlio o nipote può accedere, le visite si fanno solo per telefono e l’obiettivo è ridurre al minimo le occasioni di contagio. Ma il virus si è fatto strada anche qui, nelle camere degli ospiti, nelle sale comuni, e sta mietendo le sue vittime. Nessun tampone per chi si ammala, a meno che non necessiti di cure ospedalier­e, quindi di un ricovero. In ospedale, però, se il quadro clinico è già compromess­o un paziente molto anziano non arriva nemmeno. Ce lo ha confermato lo stesso direttore dell’Ats Claudio Sileo nei giorni scorsi: «Le cure vengono garantite a tutti, ma è inutile ril’aiuto

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