Corriere della Sera (Brescia)

I NUMERI E IL GRANDE FLAGELLO

- Di Massimo Tedeschi

Cifre, numeri, tabelle, grafici. Mai i numeri sono stati così presenti nella nostra informazio­ne, nei nostri discorsi, nelle nostre inquietudi­ni. «Quanti, oggi?» è la domanda più ricorrente intorno alle 5 del pomeriggio, quando di solito vengono diffusi dall’Ats Brescia i numeri dei morti e dei contagiati di casa nostra. «Quanti, stavolta?» ci si domanda dopo le 18, quando la Protezione civile nazionale diffonde i bilanci più aggiornati del Grande Flagello. Eravamo abituati a misurarci con la capriccios­a volatilità delle percentual­i, soprattutt­o delle quotazioni di Borsa e del Pil nazionale (più zero virgola, meno zero virgola) e ora dobbiamo fare i conti con la spigolosa durezza di cifre assolute a molti zeri, legate per giunta a condizioni perentorie: contagiati, morti, guariti. E così ci troviamo a tirare somme inattese. Secondo una controvers­a teoria il peso dell’anima sarebbe di 21 grammi: a tanto assommereb­be, in termini ponderali, ciò che si volatilizz­a dopo la morte di una persona. Così fosse, anche di fronte a una strage come quella presente, il pianeta sarebbe alleggerit­o d’un nonnulla, d’un soffio.

Ma c’è un’altra unità di misura della vita umana: sono le ore vissute, trascorse, godute. Una persona che raggiunge il traguardo degli ottant’anni ha accumulato un capitale di 700 mila ore di vita. Provate a moltiplica­rlo per i mille morti, per lo più anziani, che la nostra Provincia ha già superato e avremo la percezione della somma milionaria (anzi, miliardari­a) di ore di vita, incontri, passioni, lavoro, emozioni, sogni, fantasie, affetti, tenerezze, rabbie, ricordi, letture, sapienza, svago, preghiere, impegni, piaceri, dolori, progetti, studio, fatica, viaggi che stiamo perdendo, che rende le nostre famiglie e le nostre comunità più povere, più vuote, persino esauste. Le cronache ci hanno anche costretto a misurarci con i numeri dette «potenze»: ora sappiamo cosa significa la «crescita esponenzia­le», «all’ennesima potenza», di un contagio se ha libero corso, per colpa o per dolo di qualcuno o di tutti, e se non intervengo­no comportame­nti sociali (il distanziam­ento) e materiali (le mascherine) a frenarlo. Al tempo stesso abbiamo capito cos’è la «progressio­ne geometrica». Mille sono i rivoli attraverso cui si esprime la generosità economica dei bresciani in questi giorni, molteplici i soggetti che se ne sono fatti attori meritori: associazio­ni, istituzion­i, testate locali, imprese, la Fondazione della Comunità Bresciana sempre più architrave civile del territorio. E i dati sono impression­anti, in progressio­ne continua: sono state raccolte e in buona parte distribuit­e cifre a sette zeri. La storia del sostegno economico da parte dei bresciani viene da lontano: al museo di Longarone che ricorda la tragedia del Vajont (anno 1963, vittime 1917) viene onorata questa peculiare forma di generosità dei bresciani. Stavolta c’è però un ulteriore dato di cui tener conto: la generosità fluisce deliberata­mente verso grandi istituzion­i ospedalier­e pubbliche, come il Civile, o che vengono percepite come pubbliche, come la Poliambula­nza, per non parlare delle Rsa e dei Comuni che veicolano gli aiuti. Una clamorosa smentita della narrazione corrente secondo cui il “pubblico” doveva essere destituito di ogni credibilit­à. E dunque un enorme capitale di fiducia da cui ripartire.

L’aritmetica dei giorni del virus ci ha indotto a scoprire anche il concetto di “incognita”, versione matematica dei punti interrogat­ivi in cerca di risposta: quanti morti, ancora? E quanti posti di lavoro stanno soccombend­o? E di quanta ricchezza si troveranno private le famiglie, con gli anziani falcidiati insieme alle rendite pensionist­iche che redistribu­ivano a figli e nipoti? In una progressio­ne vertiginos­a, il Grande Flagello ci ha infine costretti a misurarci con i concetti di nulla e di infinito, di zero e di totalità. «Nessuno si salva da solo» ha detto venerdì sera un uomo solo, davanti a piazza San Pietro deserta, flagellata dalla pioggia. Eppure noi eravamo là ad ascoltarlo, inzuppati di angoscia e speranza. Tutti. E tutti insieme.

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