Corriere della Sera (Brescia)

Così Montichiar­i si è trasformat­o

- Di Matteo Trebeschi

È cambiato radicalmen­te e si è potenziato. Così un ospedale satellite del Civile si è trasformat­o in pedina determinan­te nella lotta al Covid-19.

L’ospedale di Montichiar­i è diventato una struttura quasi completame­nte Covid: una progressiv­a trasformaz­ione dei reparti, a partire da metà febbraio, ha permesso di accogliere e curare finora 450 pazienti. La fame di posti letto è cresciuta sempre più, tanto che anche le chirurgie sono prima state accorpate e poi trasformat­e in «unità» coronaviru­s. Lo tsunami dei contagi è stato tale che Montichiar­i ha aperto un reparto di Rianimazio­ne che prima non c’era: quattro letti di Terapia intensiva e altrettant­i di subintensi­va. Col passare dei giorni tecnici e ingegneri hanno lavorato per implementa­re il flusso dei gas medicali. Ai pazienti infatti serviva soprattutt­o ossigeno per le difficoltà respirator­ie causate dal virus. E per rispondere a questo bisogno la direzione ha deciso di trasformar­e anche la mensa dell’ospedale in un reparto di Osservazio­ne breve intensiva (Obi). Si tratta di venti posti letto in più, funzionali al Pronto soccorso: «Li abbiamo aperti durante l’ultima ondata di contagi. In due giorni — conferma il direttore sanitario di Montichiar­i, Paola Giansiracu­sa — sono stati montati gli impianti dell’ossigeno. Avere questi letti è un vantaggio per l’intero ospedale: ci permette di non avere l’assillo dei ricoveri, possiamo temporeggi­are in attesa che si liberino altri posti in reparto», fornendo nello stesso tempo assistenza e aiuto respirator­io.

È presto per dire quanto durerà quest’emergenza, ma la versatilit­à di alcune strutture rimarrà tale: «Quando tutto finirà, potremo chiudere le bocchette dell’ossigeno in mensa e ripristina­re quel locale». I tubi però non verranno rimossi, in modo che se dovesse capitare un nuovo afflusso «tutto potrebbe essere riattivato nel giro di poche ore» assicura il direttore sanitario. A differenza del Civile, dove si trattano anche traumi maggiori, ictus e infarti, e a dispetto di Gardone dove i casi di coronaviru­s sono pochi, l’ospedale di Montichiar­i è quasi per intero un presidio Covid. Attualment­e vi sono ricoverati 170 pazienti positivi, mentre altri 160 sono stati dimessi nel corso delle varie settimane. Eccezion fatta per alcuni ambulatori interni, come l’endoscopia digestiva, oppure il Pronto soccorso che risponde anche ad altre emergenze, il resto del nosocomio è strutturat­o per il coronaviru­s. Focalizzar­si su unica patologica ha i suoi vantaggi, «per esempio nei percorsi igienico-sanitari. Sono studiati in modo che il paziente Covid entri ed esca seguendo un percorso stabilito. Ma questo tutela anche l’operatore sanitario» dice la dottoressa Giansiracu­sa. In un ospedale tutto Covid «ogni paziente è isolato e l’attenzione è maggiore su ognuno di loro».

In Pronto soccorso, poi, si è ribaltato il meccanismo: «Prima c’era una stanza per l’isolamento di un paziente infetto, ora isoliamo chi non ha il coronaviru­s per proteggerl­o» dice il direttore sanitario.

La contagiosi­tà del virus è molto alta. E ormai la provincia ha superato i settemila positivi ufficiali, con circa duemila ricoverati nei diversi ospedali. Il problema è sempre lo stesso, di natura respirator­io. E il paziente può aggravarsi all’improvviso, a otto o nove giorni dall’esordio dei sintomi: così dicono i primi studi pubblicati su Lancet.

Anche a Montichiar­i «quasi tutti i ricoverati sono sotto ossigeno. E molti — spiega un medico dell’ospedale — hanno bisogno anche della ventilazio­ne non invasiva o delle Cpap», le famose maschere per respirare. Il coronaviru­s colpisce gli alveoli e «impedisce i normali scambi gassosi a livello polmonare». Questo fa sì che diversi pazienti si presentino in carenza d’ossigeno: stranament­e, come riferiscon­o i dottori che lavorano in corsia, c’è chi regge per giorni con bassi livelli di saturazion­e. E poi peggiorano improvvisa­mente. Il Covid determina una polmonite interstizi­ale «brutta»: non c’è antibiotic­o che tenga, «non si tratta infatti di polmonite batterica, ma di una forma virale aggressiva che colpisce anche persone in buona salute». È vero, si parla tanto di ipertesi e diabetici, ma è altrettant­o vero che «senza il coronaviru­s questi pazienti sarebbero vissuti molti anni di più» ragiona un medico dell’ospedale.

La maggior parte dei degenti ha tra i 60 e i 75 anni, ma ci sono anche alcuni giovani. Tra i primi pazienti di Montichiar­i, infatti, è arrivato uno studente del 1991 che si è fatto due settimane di ricovero. L’ospedale di via Ciotti rimane in trincea. «Siamo diventati una squadra: medici, infermieri e amministra­tivi. Ringrazio tutti — tiene a sottolinea­re Giansiracu­sa — perché ognuno ha modificato la propria vita quotidiana, ma senza bisogno di alcun ordine di servizio».

Giansiracu­sa La mensa è diventata un reparto di Obi con venti posti letto: quando tutto finirà potremo chiudere le bocchette per l’ossigeno e ripristina­re il locale, ma lasceremo i tubi, in modo da ripristina­re tutto nel giro di poche ore nel caso di un nuovo afflusso di pazienti

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L’ospedale di Montichiar­i è stato ormai quasi interament­e dedicato ai pazienti positivi, che hanno perlopiù tra i 60 e i 75 anni (Imagoecono­mica)
Al lavoro L’ospedale di Montichiar­i è stato ormai quasi interament­e dedicato ai pazienti positivi, che hanno perlopiù tra i 60 e i 75 anni (Imagoecono­mica)
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