Così Montichiari si è trasformato
È cambiato radicalmente e si è potenziato. Così un ospedale satellite del Civile si è trasformato in pedina determinante nella lotta al Covid-19.
L’ospedale di Montichiari è diventato una struttura quasi completamente Covid: una progressiva trasformazione dei reparti, a partire da metà febbraio, ha permesso di accogliere e curare finora 450 pazienti. La fame di posti letto è cresciuta sempre più, tanto che anche le chirurgie sono prima state accorpate e poi trasformate in «unità» coronavirus. Lo tsunami dei contagi è stato tale che Montichiari ha aperto un reparto di Rianimazione che prima non c’era: quattro letti di Terapia intensiva e altrettanti di subintensiva. Col passare dei giorni tecnici e ingegneri hanno lavorato per implementare il flusso dei gas medicali. Ai pazienti infatti serviva soprattutto ossigeno per le difficoltà respiratorie causate dal virus. E per rispondere a questo bisogno la direzione ha deciso di trasformare anche la mensa dell’ospedale in un reparto di Osservazione breve intensiva (Obi). Si tratta di venti posti letto in più, funzionali al Pronto soccorso: «Li abbiamo aperti durante l’ultima ondata di contagi. In due giorni — conferma il direttore sanitario di Montichiari, Paola Giansiracusa — sono stati montati gli impianti dell’ossigeno. Avere questi letti è un vantaggio per l’intero ospedale: ci permette di non avere l’assillo dei ricoveri, possiamo temporeggiare in attesa che si liberino altri posti in reparto», fornendo nello stesso tempo assistenza e aiuto respiratorio.
È presto per dire quanto durerà quest’emergenza, ma la versatilità di alcune strutture rimarrà tale: «Quando tutto finirà, potremo chiudere le bocchette dell’ossigeno in mensa e ripristinare quel locale». I tubi però non verranno rimossi, in modo che se dovesse capitare un nuovo afflusso «tutto potrebbe essere riattivato nel giro di poche ore» assicura il direttore sanitario. A differenza del Civile, dove si trattano anche traumi maggiori, ictus e infarti, e a dispetto di Gardone dove i casi di coronavirus sono pochi, l’ospedale di Montichiari è quasi per intero un presidio Covid. Attualmente vi sono ricoverati 170 pazienti positivi, mentre altri 160 sono stati dimessi nel corso delle varie settimane. Eccezion fatta per alcuni ambulatori interni, come l’endoscopia digestiva, oppure il Pronto soccorso che risponde anche ad altre emergenze, il resto del nosocomio è strutturato per il coronavirus. Focalizzarsi su unica patologica ha i suoi vantaggi, «per esempio nei percorsi igienico-sanitari. Sono studiati in modo che il paziente Covid entri ed esca seguendo un percorso stabilito. Ma questo tutela anche l’operatore sanitario» dice la dottoressa Giansiracusa. In un ospedale tutto Covid «ogni paziente è isolato e l’attenzione è maggiore su ognuno di loro».
In Pronto soccorso, poi, si è ribaltato il meccanismo: «Prima c’era una stanza per l’isolamento di un paziente infetto, ora isoliamo chi non ha il coronavirus per proteggerlo» dice il direttore sanitario.
La contagiosità del virus è molto alta. E ormai la provincia ha superato i settemila positivi ufficiali, con circa duemila ricoverati nei diversi ospedali. Il problema è sempre lo stesso, di natura respiratorio. E il paziente può aggravarsi all’improvviso, a otto o nove giorni dall’esordio dei sintomi: così dicono i primi studi pubblicati su Lancet.
Anche a Montichiari «quasi tutti i ricoverati sono sotto ossigeno. E molti — spiega un medico dell’ospedale — hanno bisogno anche della ventilazione non invasiva o delle Cpap», le famose maschere per respirare. Il coronavirus colpisce gli alveoli e «impedisce i normali scambi gassosi a livello polmonare». Questo fa sì che diversi pazienti si presentino in carenza d’ossigeno: stranamente, come riferiscono i dottori che lavorano in corsia, c’è chi regge per giorni con bassi livelli di saturazione. E poi peggiorano improvvisamente. Il Covid determina una polmonite interstiziale «brutta»: non c’è antibiotico che tenga, «non si tratta infatti di polmonite batterica, ma di una forma virale aggressiva che colpisce anche persone in buona salute». È vero, si parla tanto di ipertesi e diabetici, ma è altrettanto vero che «senza il coronavirus questi pazienti sarebbero vissuti molti anni di più» ragiona un medico dell’ospedale.
La maggior parte dei degenti ha tra i 60 e i 75 anni, ma ci sono anche alcuni giovani. Tra i primi pazienti di Montichiari, infatti, è arrivato uno studente del 1991 che si è fatto due settimane di ricovero. L’ospedale di via Ciotti rimane in trincea. «Siamo diventati una squadra: medici, infermieri e amministrativi. Ringrazio tutti — tiene a sottolineare Giansiracusa — perché ognuno ha modificato la propria vita quotidiana, ma senza bisogno di alcun ordine di servizio».
Giansiracusa La mensa è diventata un reparto di Obi con venti posti letto: quando tutto finirà potremo chiudere le bocchette per l’ossigeno e ripristinare il locale, ma lasceremo i tubi, in modo da ripristinare tutto nel giro di poche ore nel caso di un nuovo afflusso di pazienti