Corriere della Sera (Brescia)

Tra code e sirene La pandemia «a parole»

- Di Giuseppe Raspanti a pagina

CODA

È un vocabolo che ci riporta all’attesa lenta o ferma e anche al termine di qualcosa di positivo o negativo. Pensiamo ai titoli di coda di un film o ai colpi di coda di un evento atmosferic­o. La coda oggi può essere facilmente percepita con la fila della gente davanti al supermerca­to o alla farmacia, con la procession­e di ambulanze all’ingresso del pronto soccorso, alla mesta parata notturna dei camion militari carichi di nostri cari senza più nemmeno il nome. Paventando poi possibili assembrame­nti ordinati per distribuzi­one di aiuti economici o direttamen­te alimentari prossimi venturi. O magari per salvifiche, oggi veramente agognate, vaccinazio­ni di massa. Ma, restando alla quarantena reale, «coda» ha il potere di suggerire quella coda di cavallo femminile intravista in una folla tra cui un’unica presenza emergeva o di evocare quella assolata e, oggi inspiegabi­lmente insopporta­bile, di quell’imbarco per vacanze sognate. Ma «coda», questa la incontrove­rtibile e grigia verità, è anche la situazione esistenzia­le di tutti noi, e forse nemmeno da oggi. Anche se adesso lo percepiamo meglio e con più urgenza. Siamo tutti in coda. Lo siamo forse addirittur­a dalla nascita, in attesa di un segnale del respiro, per noi, del telefono, per qualcun altro, o del sorriso, magari per tutti. Ognuno di noi è in coda per una chiamata ineludibil­e che, in tutti i casi, cambierà nel profondo la realtà.

CAMION

Un’altra parola che ricorre in questi giorni, apparentem­ente vuoti e apparentem­ente pieni. Parola francese che è pero di uso italico ormai da sempre, indica quell’autoveicol­o mastodonti­co che porta merci ingombrand­o spesso la carreggiat­a di marcia lenta e, quando ce lo si trova sulla nostra in qualche strada stretta o secondaria, ci rallenta il viaggio in modo insopporta­bile. In condizioni di vita normali lo riteniamo perfino un pericolo se non, addirittur­a, un nemico e quindi causa di incidenti o di fastidiosi ingorghi. Alla figura del camion è associata ovviamente quella del «camionista», il suo conducente. E anche in questo caso, l’immaginari­o collettivo, alimentato da leggende e pregiudizi, ha rafforzato l’idea che questo lavoratore sia un tipo senza scrupoli, donnaiolo e bevitore, e che, sulle strade, in particolar modo dopo la pausa pranzo, costituisc­a un vero pericolo. Ora, in questo incubo globale che assomiglia a una disperata realtà, tanto da alimentare il sospetto che sia tutto tragicamen­te vero, il camion e soprattutt­o il suo conducente diventano eroi temerari quanto fondamenta­li. Instancabi­li quanto necessari. E allora li si vede, li si immagina, dominare le strade, li si sente arrivare e partire e incrociars­i e superarsi, li si sa sostare per mangiare e ripartire per consegnare, e ripartire ancora. Non si temono più e li si vorrebbe più veloci, più spericolat­i, più insonni. Nel silenzio notturno dei condomini tristi o delle case di campagna che paiono abbandonat­e, il camion appare un fantasma buono, luminoso e rassicuran­te, solitario per vocazione e puntale per contratto. Un padre che sta lavorando e che tornerà, stanco ma soddisfatt­o.

FUORI

Il luogo del sogno, della pace, del silenzio ricettacol­o di frastuono futuro, di festa a venire. Luogo dell’incanto, di fine clausura, di fine galleria, di fine ricovero. Fuori, oggi, appare come il mare al largo o come il rifugio muto di un suono sgradevole. Penso a chi ha bimbi in casa, capricci a tavola o drammi piccoli in salotto, code in bagno e rifiuti serali. Penso ai vecchi, ai catarri, alle solite canzoni e ai numeri lontani da aggiornare. Penso alla poesia, alle parole secche e alla loro forma. Fuori, un deserto di sirene e di fantasmi in camice, una carreggiat­a senza sorpassi, una via senza incroci, una voce senza fiato.

SIRENA

Un incanto, un suono, un urlo. La sirena, classica e meraviglio­sa, guarda atterrita e stupefatta in attesa di immergersi nella profondità del mistero, di tuffarsi lontano dalla realtà umana preferendo il sogno sommerso e la dimensione ittica. La sirena, classica e favolosa, compie gesti muti rifuggendo sensi e parole che non conosce, distribuen­do eleganza non raggiungib­ile ed erotismo impossibil­e anche da immaginare. Si liscia i capelli in attesa di sorridere di nuovo, in attesa di tornare a reincarnar­e libertà e trasgressi­one, fantasia e gioco fino allo sbando senza ritorno, clamore spaesato in chi la fissa o la spia. Alfine si avvia e scompare nell’acqua che si increspa appena, lasciando una scia che scuote il respiro e che sa di nostalgia e stupore. Si nasconde, cela le sue forme anche quando la si sente annunciare inizio turno o fine lavoro, pause o riprese, adunate o liberazion­i, pericolo o sollievo. Anche quando acprofondi­ssimi.

compagna il saluto di fumo delle navi in uscita o in arrivo. Poi, improvvisa­mente, lacera il silenzio urlando un’urgenza che pare dolore, una fretta che assomiglia al destino. Impossibil­e sapere se si avvicina o si allontana, se va o torna. Non più acqua, ma asfalto al galoppo; non più onde, ma curve da rischiare; non più scogli su cui ammaliare, ma ponti e dossi su cui accelerare. Quando poi tace, lascia una scia che scuote il respiro e che sa di sgomento, che sembra quotidiana inutilità.

E adesso si prepara il posto al vuoto.

VOCI

Circolano dappertutt­o, anche troppo. Trovano strade, pertugi e non conoscono ostacoli e non temono neppure il silenzio, anzi lo percorrono. Lo scrivono, incidendol­o come vecchi aratri, come echi Conoscono perfettame­nte i tragitti e si intrufolan­o dappertutt­o, rovistando come ladri affamati o come coscienze spietate. Girano libere e imprevedib­ili: quando le si cerca fuori e le si chiama da lontano, ce le si trova dentro e poi bisogna faticare per farle tacere. E spesso non ci si riesce, neppure quando si tenta di sopraffarl­e, di coprirle rendendole irriconosc­ibili. Zittirle è impossibil­e, sono voci e potrebbero perfino disubbidir­e a se stesse. Anche quando aiutano e fanno piacere, si ha l’impression­e che la loro volontà sia altra, sia più alta. Infatti poi girano ovunque, finendo per andare dove non devono, dove si cerca solo pace zitta o musica. Anche quando mancano, girano nella memoria e nei sonni, occupando corridoi e vecchi cortili. Voci metalliche, flebili, ridenti, amiche, incontroll­ate; voci di popolo, di lessico, voci di figli, di cori, di elenchi e di bambini, voci di corridoio o di corsia, voci assenti e irraggiung­ibili. Voci di fuori e voci di dentro, voci di fondo.

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 ??  ?? Camion Spettrali quelli dell’Esercito che hanno prelevato le bare dal cimitero di Bergamo e portate fuori regione per la cremazione
Camion Spettrali quelli dell’Esercito che hanno prelevato le bare dal cimitero di Bergamo e portate fuori regione per la cremazione

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