Quel Portogallo che ci fa scuola
A tenere alto il numero dei positivi è lo screening in corso fra ospiti e operatori delle case di riposo che sono cinque volte i tamponi infetti fra la cittadinanza
È considerato uno Stato relativamente povero, ma nell’affrontare l’emergenza coronavirus si è mostrato fra i più reattivi. Ecco cosa ci insegna.
A pochi giorni dalla fine del lockdown la provincia di Brescia registra ancora 67 nuovi contagi (in aumento rispetto a ieri), cui sommare altri 25 casi in Vallecamonica. Il timore è che i contagi possano scoppiare ancora, assistendo d’estate a una miriade di ricoveri e decessi.
Ma non «siamo tutti uguali» di fronte al Coronavirus: è quello che dimostra uno studio dei ricercatori dell’Università Vita-Salute dell’ospedale San Raffaele di Milano.
Gli esperti dell’Irccs, analizzando circa mille pazienti Covid ricoverati nei mesi scorsi, hanno identificato quelli che ritengono i «soggetti» con il «maggior rischio di sviluppare le forme più aggressive del Covid-19». Si parla di soggetti con «età avanzata, tumore maligno in corso, ipertensione arteriosa e malattia coronarica»: sono i fattori di rischio primari per la mortalità da Covid-19.
Ma c’è di più, secondo le analisi di laboratorio, i pazienti a maggior rischio hanno «un basso numero di linfociti nel sangue — perché esauriti da una risposta immunitaria fuori misura — e valori elevati di alcuni marcatori che misurano la presenza di una reazione iper-infiammatoria».
È sulla base di queste evidenze scientifiche che il San Raffaele suggerisce di «costruire un percorso preventivo di screening, presa in carico e cura dei pazienti a rischio, che preceda il ricovero». E che presuppone uno stretto coordinamento con la medicina del territorio. Il medico di famiglia diventa un alleato prezioso se si vuole che, durante la fase due, il virus semini meno vittime.
«Attraverso gli indicatori che abbiamo individuato possiamo riconoscere in anticipo i pazienti che svilupperanno la forma più grave della patologia» spiega Fabio Ciceri, primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo. «Attraverso un programma di screening e l’intervento tempestivo, innanzitutto a domicilio, possiamo gestire la patologia in anticipo, riducendo altamente la mortalità — spiega il professor Alberto Zangrillo, direttore delle unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-toracovascolare – Ad esempio, un iperteso con più di 65 anni, a fronte di un episodio febbrile, non deve essere lasciato a casa nella speranza di un’evoluzione positiva del quadro clinico. Deve essere tempestivamente inserito in un percorso di diagnosi, monitoraggio e cura». È chiaro che il controllo del livello di ossigeno nel sangue e, soprattutto, la capacità di prevederne l’evoluzione possono fare la differenza. Tra telemedicina e prevenzione, l’alleanza ospedale-territorio diventa decisiva.
Al momento, nel territorio dell’Ats di Brescia, il bilancio dei contagiati sale a 11.343 casi, che diventano 12.691 se inseriamo anche i dati delle persone infette in Vallecamonica.
I numeri confermano ogni giorno che l’infezione da Covid ha interessato molto le case di riposo: dei 67 casi nuovi di ieri (Ats Brescia), 42 riguardano i nonni «ospiti», 11 gli operatori e «solo» 14 erano dei comuni cittadini. Scende il numero di persone in isolamento obbligatorio (1.770) che dovrà sottoporsi all’esame sierologico, mentre i guariti sono quasi 5 mila. Ieri c’è stato un nuovo decesso, quattro l’altro ieri, sei lunedì. Ma abbassare la guardia sarebbe un errore.