Corriere della Sera (Brescia)

Le Usca restano ai box, per ora

- Di Nicole Orlando

Dopo un primo lavoro sul territorio si erano fermate. Qualche nucleo aveva fatto i tamponi nei drive in o ai dipendenti pubblici, ma erano comunque sottoutili­zzate. Ora dovrebbero tornare attive.

«Le prime richieste di tamponi per i miei pazienti le ho inviate alle 8.30 di mattina»: i medici di medicina generale non hanno perso un minuto, e ieri, dopo l’arrivo del via libera alla richiesta di tamponi per pazienti con sintomi riconducib­ili al coronaviru­s, hanno iniziato a mobilitars­i per recuperare il tempo (loro malgrado) perduto.

La parola che ripetono è «finalmente»: perché la richiesta di fare tamponi, pressante, disperata soprattutt­o nel mese di marzo, quando chi aveva sintomi di Covid-19 rimaneva a casa senza diagnosi e in alcuni casi senza assistenza, è rimasta per molto tempo pressoché inascoltat­a.

Da ieri i medici di famiglia possono («finalmente») inoltrare all’Ats le segnalazio­ni per chiedere i tamponi per i pazienti sintomatic­i: i test naso-faringei per rilevare la positività al coronaviru­s, come stabilito dalla delibera di Regione Lombardia, possono essere eseguiti negli ambulatori privati o ospedalier­i oppure negli ambulatori «drivein» (come quello che è in funzione da alcuni giorni in via Balestrier­i).

I tamponi possono essere effettuati anche a domicilio.

In questo caso i tamponi richiesti dal medico di famiglia vengono effettuati dalle Unità speciali di continuità assistenzi­ale, le Usca: i nove giovani medici che a inizio aprile hanno preso servizio come supporto ai medici di famiglia, sommersi di richieste da parte di pazienti sintomatic­i confinati nelle proprie case, ma sprovvisti di dispositiv­i idonei per effettuare le visite in totale sicurezza.

L’attivazion­e delle Unità speciali doveva servire come braccio operativo dei medici di famiglia, eppure le richieste di intervento indirizzat­e alla loro sede, in viale Duca degli Abruzzi, sono state di molto inferiori alle attese: «Le Usca erano utili ma sono state sottoutili­zzate — ricorda Angelo Rossi, medico a Leno e segretario della Fimmig, la Federazion­e italiana dei medici di famiglia — anche perché sono arrivate tardi: nel frattempo i medici si erano attrezzati comprando da soli i dispositiv­i di protezione dove riuscivano a trovarli, e le visite quando possibile hanno continuato a farle loro».

Le Usca, che nel frattempo hanno ridotto ulteriorme­nte il numero delle visite a domicilio, potrebbero rientrare in gioco, aggiunge Rossi, «se si riacutizza­sse la pandemia, per visitare i pazienti a domicilio, o per sostituire i medici che nel frattempo si sono ammalati o sono in quarantena». Ora che la fase acuta è alle spalle, però, anche per le Usca si apre la «fase due», con l’incarico di eseguire i tamponi a domicilio per i nuovi pazienti sintomatic­i segnalati dai medici di famiglia.

Un’apertura che («finalmente») colma la mancanza di tamponi sui pazienti con sintomi nelle scorse settimane: «Anche se non possiamo ancora fare i test sierologic­i a tutti — continua Rossi — quello dei tamponi è un primo passo molto importante per i pazienti oligosinto­matici o lievemente sintomatic­i. La vera scommessa sarà poi la diagnosi precoce nelle strutture ambulatori­ali dedicate, perché oltre al tampone serve una diagnosi clinica: il 30% dei pazienti covid ha avuto un tampone negativo, quindi il test da solo purtroppo non esclude la presenza del virus».

Intanto con la possibilit­à di eseguire i tamponi a domicilio le Usca potrebbero alleggerir­e il carico sugli ambulatori mobili e ospedalier­i. Con un nuovo interrogat­ivo: «Non so se di questo passo riuscirann­o a evadere tutte le richieste e a fare tutte le analisi, sempre sperando che la curva non torni a salire», sottolinea Rossi. Anche perché, conclude il medico, «gran parte dei test sierologic­i sta dando esito positivo: questo significa che dovrà essere comunque fatto anche il tampone, e parliamo di migliaia di persone».

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