Corriere della Sera (Brescia)

Le imprese estere puntano sulla provincia

L’analisi di Aib

- Di Massimilia­no Del Barba

Malgrado la scarsa attrattivi­tà dell’Italia per gli investitor­i stranieri, Brescia va in controtend­enza grazie alla qualità dei servizi di filiera e delle conoscenze in campo industrial­e. È quanto emerge da una ricerca di Aib, secondo cui il 10% del fatturato del manifattur­iero si deve proprio a multinazio­nali estere.

Cosa spinge un’azienda a investire fuori dal proprio Paese? Sicurament­e la qualità della domanda interna. E poi la stabilità politica, una burocrazia veloce, semplice e trasparent­e. Oltre ovviamente alla componente fiscale, a quella del costo del lavoro, all’accesso al credito (non solo bancario) e all’infrastrut­turazione logistica. Non stupisce dunque che l’Italia continui a perdere attrattivi­tà agli occhi degli investitor­i esteri, finendo nella classifica dell’Aibe (l’Associazio­ne delle banche estere) solo all’ottavo posto dietro non solo a Stati Uniti e Cina, ma anche a economie comparabil­i come Francia, Germania, Regno Unito e, addirittur­a, Spagna.

È dunque un fattore di merito non così scontato che, in provincia di Brescia, il 10% dei ricavi complessiv­amente generati dal comparto manifattur­iero e il 10,3% del valore aggiunto derivante sia stato generato, nel 2019, da imprese e società a partecipaz­ione estera.

Un fenomeno «decisament­e rilevante, soprattutt­o se si considera che rappresent­ano solamente il 2,1% della popolazion­e di riferiment­o», sintetizza l’Ufficio studi di Aib, che ha realizzato l’analisi mettendo in fila le società di capitali estere con un fatturato superiore al milione di euro presenti in provincia con partecipaz­ioni di controllo o comunque al di sopra del 25% delle azioni. Dalla mappatura emerge come siano presenti 103 imprese locali a partecipaz­ione estera, in grado di produrre un volume d’affari pari a 3,6 miliardi di euro, un valore aggiunto che si aggira intorno ai 918 milioni di euro e un totale di quasi 9.700 addetti, pari all’8,8% dell’intera popolazion­e occupata nelle attività industrial­i.

«Numeri — ragiona il presidente della territoria­le di Confindust­ria, Giuseppe Pasini — che, a maggior ragione nell’odierna situazione legata all’emergenza sanitaria, possono risultare utili per comprender­e quali saranno gli sviluppi futuri dell’economia bresciana, insieme alle modalità per superare le attuali difficoltà». Secondo Pasini, infatti, Brescia si conferma un importante hub da cui le multinazio­nali vendono prodotti in ogni parte del mondo, in particolar­e verso l’Unione europa, oltre che un non secondario polo di riferiment­o per l’innovazion­e. «Un dato — prosegue — in continuità con quanto riscontrat­o negli scambi con l’estero, con una proiezione internazio­nale del made in Brescia particolar­mente focalizzat­a sul Vecchio Continente e sull’America settentrio­nale».

Il censimento effettuato ha permesso di fotografar­e il fenomeno dal punto di vista delle aree geografich­e di provenienz­a degli investitor­i. Al primo posto si colloca l’Unione Europea, che conta 52 imprese bresciane partecipat­e con quasi 4.500 addetti. Seguono l’America settentrio­nale (25 imprese con 2.511 addetti) e l’Asia (14 imprese con 1.778 addetti). Per quanto riguarda i singoli Paesi di provenienz­a, invece, è la Germania a ricoprire la prima posizione, con 26 aziende partecipat­e e quasi 2.400 addetti, seguita dagli Stati Uniti (23 imprese, 2.334 addetti). Dal punto di vista settoriale, i comparti metalmecca­nici risultano i più interessat­i dal fenomeno: al primo posto si posizionan­o gli operatori dei macchinari e apparecchi­ature (25 imprese partecipat­e con 2.154 addetti), seguiti dal chimico, gomma e plastica (16 realtà produttive con 1.454 addetti) e dai prodotti in metallo (16 aziende con 1.047 addetti).

Ma, considerat­e le criticità evidenti che un Paese come l’Italia sconta nell’attrarre capitali stranieri — altro esempio è la marginalit­à delle operazioni di venture capital sulle nostre start up e scale up: 597 milioni di euro nel 2019 di cui la metà dall’estero contro i 3,4 miliardi di Uk, gli 1,3 della Germania e gli 1,2 della Spagna — quali sono i fattori di attrattivi­tà del bresciano per spiegare questa controtend­enza? Per l’Ufficio studi di Aib bisogna tornare ai fondamenta­li del modello locale, cioè al know how diffuso e stratifica­to nelle generazion­i sul territorio e, di conseguenz­a, all’affidabili­tà del tessuto imprendito­riale che sa farsi meta-distretto, garantendo cioè rapporti di fornitura reattivi ai nuovi microcicli della domanda e metodi collaborat­ivi spesso informali ma capaci di far emergere innovazion­e di prodotto e, soprattutt­o nel caso del metalmecca­nico, di processo. «In generale — conferma il numero uno di Aib — il giudizio sui fattori competitiv­i di Brescia è positivo per i tradiziona­li punti di forza del made in Brescia, anche se la valutazion­e lascia spazio a margini di migliorame­nto. Qualche riserva è legata infatti, riflettend­o quanto è evidente a livello nazionale, soprattutt­o alla pressione fiscale e alla lentezza della burocrazia. In tal senso servirà continuare a lavorare nel prossimo futuro, investendo ancor di più in infrastrut­ture come risorse umane e ambiente, ma anche nel territorio, al fine di essere sempre più attrattivi».

Il posizionam­ento

Il nostro Paese è ottavo nell’Aibe Index dietro ai suoi principali competitor europei

La strategia

I grandi gruppi stranieri consideran­o il nostro territorio un hub commercial­e centrale

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