Per le imprese è l’ora della rivoluzione digitale «Tour virtuali e fiere in streaming»
Manager in cravatta e mutande (rigorosamente non inquadrate) all’ennesima conference call, ossessivo-compulsivi da tastiera che intasano i social con post spesso idioti — «Siamo diventati tutti virologi», cit — e, soprattutto, imprenditori isterici che dirigono le aziende dal divano e annullano le prenotazioni a fiere, eventi e voli in business class. La cattività è finita (o quasi) ma restiamo tutti cavernicoli incollati al computer, al cellulare, alla tv: «È come il Super bowl, l’11 settembre, lo sbarco dell’uomo sulla luna: un momento di condivisione corale che, da un certo punto di vista, ci rende tutti uguali». Per Luca Borsoni, presidente dei Giovani di Aib e capo cordata (per autodefinizione) dello studio AsBorsoni, lo stra-maledetto coronavirus può avere qualche effetto
collaterale positivo. «Questo periodo — dice — ci ha fatto capire quanto sia importante la comunicazione, quanta risonanza possa avere il più banale post sui social: per le imprese è un’opportunità da sfruttare». È l’ora della rivoluzione: «Fiere ed eventi sono saltati, i clienti non vengono più in azienda, non è più possibile presentare un prodotto allo stand. Bisogna generare nuovi modelli, investire sull’online, sfruttare strumenti di comunicazione democratici». E virtuali: «Il fatto che il Salone del mobile trasmesso in streaming sia stato tra gli eventi più visti della storia aiuta a capire come le aziende debbano spostarsi sul digitale e dematerializzare». La strategia in qualche riga: «Penso a virtual tour, eventi digitali, contenuti editoriali immersivi... Non bastano più le foto su un sito». Ora si viaggia con il mouse: «Le fiere, gli eventi one-shot che stavano affrontando una crisi già prima dell’epidemia, sono superati. Bisogna spostarsi altrove. Su internet, ovviamente. Ma anche sui canali tematici il cui costo, prima quasi insostenibile, si è notevolmente ridotto». Digito ergo sum: per un certo tipo di aziende e interi settori i social restano uno strumento acchiappaconsumatori. «Il pubblico di Facebook — commenta Borsoni — è ormai “vecchio”. Instagram, invece, continua a crescere. E Tik-Tok va guardato con interesse: lo usa una generazione di futuri trend-setter, può attrarre nuovi target». Tra le varie rogne del periodo di clausura ci sono state le videochiamate estenuanti con i clienti stranieri, terrorizzati dal fatto che le aziende italiane dovessero fermare le produzioni per secoli: alcune aziende hanno dovuto convincerli a non stracciare i contatti. Per Borsoni «il problema parte dall’alto. La comunicazione del Paese è frammentata, a volte contraddittoria: all’estero risulta incomprensibile».