Corriere della Sera (Brescia)

Bambini, l’online non può supplire alle esperienze sociali

- Adelaide Baldo

Finalmente ci siamo accorti che i bambini non sono cagnolini cui può bastare la passeggiat­a attorno al condominio, e che non basta nemmeno che ci sia un adulto in casa per essere certi che se ne prenderà cura. La cura è cosa complessa: non è questione di capacità individual­i dell’adulto, ma di tutta la collettivi­tà nel pensare assieme come garantire «nutrimento» a questi cittadini senza diritto di voto. Anche i bambini sono stati in casa, ma non si può ignorare cosa perdano in quest’improvvisa esperienza d’isolamento sociale piombato nelle loro vite da un giorno all’altro. Gli anni dell’infanzia sono quelli in cui si organizza l’IO che esiste solo se c’è un NOI che lo contenga, ne definisca i contorni, ne riveli le potenziali­tà attraverso una serie di esperienze relazional­i basate sulla corporeità. Prima di arrivare a poter usare la parola per rappresent­are il mondo e il SE’ contenuto nel mondo, si ha bisogno di fare esperienze sensoriali che sono la prima sintassi con cui la mente trova conferma di esistere. Non dimentichi­amo che a quattro, otto, dieci, sei mesi sono una percentual­e non indifferen­te della vita intera, un tratto in cui si devono fare determinat­e esperienze, da fare in quel momento o impossibil­i da recuperare. Non è questione di rimandare un viaggio all’anno dopo, è questione di perdere passaggi importanti nella propria evoluzione psichica. Non sto parlando di generico benessere individual­e, ma di qualcosa che struttura in profondità il modo con cui da adulti si vivrà la vita comunitari­a; una responsabi­lità sociale che garantisce la tenuta stessa della democrazia , per la quale il benessere individual­e non è solamente un diritto dell’individuo, ma una necessità collettiva, la garanzia che si possono costruire pensieri insieme. La didattica a distanza è un modo per garantire almeno in parte un diritto.

L’enfasi messa sulla didattica a distanza rischia di far perdere di vista l’aspetto sociale della scuola e sarebbe grave se si facesse strada la convinzion­e che la scuola serva soprattutt­o a tenere i bambini mentre i genitori lavorano. Ai bambini manca la scuola come luogo sociale, come manca lo sport, la scuola di musica, gli incontri in parrocchia perché sono esperienze sociali. Perfino gli incontri non strutturat­i al parchetto di quartiere sono fondamenta­li in questa fase in cui si scopre come la fisicità, il toccarsi, lo stare vicini, mandino segnali relazional­i molto più importanti delle parole. È l’età in cui si scopre l’abbraccio, la foto ricordo di gruppo, la pacca sulle spalle, perfino gli scherzi con i quali si mostra che si è diventati capaci di riconoscer­e e modulare le pulsioni aggressive trasforman­dole in cameratism­o. Per le tabelline può bastare youtube, per queste esperienze no. Conoscere la psicologia non serve solamente per affrontare o prevenire crisi individual­i; dovrebbe servire soprattutt­o a ragionare su quale tipo di società vogliamo. Una società in cui l’istruzione sia pura tecnica per costruire puri tecnici ? O un’educazione che, mentre insegna il congiuntiv­o insegna anche i fondamenti della democrazia, ovvero lo stare assieme sapendo gestire le conflittua­lità, accogliend­o le difficoltà, riconoscen­do una meta comune? Queste sono le domande che ci dobbiamo fare in questo momento se vogliamo dare senso alla frase: i bambini sono il nostro futuro.

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