«È stato come in un libro di Orwell»
«Con le autocertificazioni mi sentivo osservato dal Grande Fratello. Ma ora possiamo reinventarci»
Era il 2006 quando Mondo Marcio diventava il nuovo fenomeno dell’hip hop italiano con «Dentro alla scatola», hit dal suo secondo disco «Solo un uomo». Da allora il rapper milanese, al secolo Gian Marco Marcello, ha pubblicato altri sei album — il più recente, «Uomo!», a inizio 2019 —, e ora è pronto per il ritorno sulle scene con il singolo «Adderall», disponibile da domani assieme alla b-side «Idolo».
«Ci sarà anche un disco, ma più in là», dice. «Ormai quasi nessuno ascolta più gli album per intero, sono le playlist sulle piattaforme di streaming a guidare gli ascolti e questo fa sì che le singole canzoni abbiano la precedenza. Non che mi dispiaccia, anzi, mi sembra che così il rapporto con i fan sia più continuativo e stimolante». Se «Idolo» è un pezzo scritto durante il lockdown, «Adderall» vede la complicità dell’olandese Shroom, produttore già al fianco di J Cole, Busta Rhymes, Eminem. «Dei due è il brano più orecchiabile, prentarlo, de il nome da un farmaco usato per curare il disturbo da deficit dell’attenzione ed è autobiografico, parla di una storia d’amore che diventa una dipendenza», spiega Mondo Marcio prima di aggiungere che «l’epoca degli uomini tutti d’un pezzo educati a nascondere le fragilità è finita, e meno male, visto che a furia di reprimere si impazzisce».
Oggi il rapper ha 33 anni, era un ragazzino quando partecipava alle gare di freestyle al Chiringuito di via Farini e ne aveva appena 16 quando, nel 2003, vinse il concorso «Tecniche perfette» contro il collega Ensi e fu notato da Bassi Maestro, figura storica dell’hip hop, che lo prese sotto la sua ala. «Poi giunse il successo e lì mi ricordo di un me stesso spaventato e ingenuo, non capivo cosa stesse accadendo né sapevo che in questo mondo c’è sempre qualcuno che ti vuole fregare. Anche oggi che rap, trap e urban godono di grande visibilità vedo troppo protagonismo e poca coesione: le collaboraquando zioni si sprecano, ma spesso si tratta di mere operazioni commerciali». Nella voce traspare un filo di amarezza, del resto il periodo non è dei più facili. «La pandemia ci ha allontanati dalla nostra zona di comfort ed è faticoso accetse però questo ci aiutasse a rimetterci in discussione e a reinventarci…». Lui da rapper-imprenditore lo ha fatto più volte, prima con l’etichetta Mondo Records, tuttora attiva, poi con la linea d’abbigliamento Kilo Clothing. «E
Creativo lo streetwear non mi stimolava più ho lanciato un marchio di Cbd o marijuana legale, business morto a causa di una caccia alle streghe guidata da Matteo Salvini a cui tanti si sono uniti».
Al tutto va aggiunto il romanzo del 2016 «La città fantasma», ambientato in una Milano sommersa dall’acqua per lo scioglimento dei ghiacciai provocato dal riscaldamento globale. «Mi sono immaginato un futuro distopico non così diverso da quello che abbiamo vissuto poco fa — osserva —. Al posto del virus ci sono le inondazioni, ma i personaggi sono comunque costretti in casa». E tra le sue letture attuali cita «1984» di Orwell: «Quando c’era l’obbligo delle autocertificazioni mi sono sentito un po’ come il protagonista in fuga dal Grande Fratello. Adesso è ora di guardare avanti e benché sia preoccupato so che gli italiani si sanno sempre arrangiare: questo mi dà fiducia».