Corriere della Sera (Brescia)

Rsa, ospedali e «zone rosse» Salgono a 80 i fascicoli aperti

Sono tutti ancora a carico di ignoti: per ora nessun indagato

- di Mara Rodella

Ne arrivano ogni giorno, anche se a ritmi decisament­e «rallentati». Un po’ come seguissero l’andamento della stessa epidemia sulla quale chiedono di fare chiarezza. Sono gli esposti e le denunce — da parte di privati come di associazio­ni di consumator­i — depositate in procura e archiviate nel faldone «Covid».

A quasi tre mesi dal lockdown, i fascicoli aperti salgono a un’ottantina. E sono ancora tutti a carico di ignoti. Al lavoro, coordinati dal procurator­e aggiunto Carlo Nocerino, un pool dedicato formato da tre sostituti: i pm Corinna Carrara, Caty Bressanell­i e Federica Ceschi. Il loro non è certo compito facile — come peraltro sottolinea­to anche dal neoprocura­tore aggiunto Guido Rispoli: «Faremo il possibile, approfondi­remo ogni segnalazio­ne, ma sarà difficile» — partendo da un presuppost­o: l’assenza di protocolli e linee guida precise finalizzat­i alla gestione di un emergenza sanitaria le cui dimensioni hanno colto tutti alla sprovvista. Anche gli stessi medici contro i quali, adesso, ci sono famigliari che puntano il dito per la presunta inidoneità delle cura prestate a una persona cara in corsia. O in Rsa, la ferita più profonda che si è aperta in città e provincia: una strage. I numeri delle 86 strutture che fanno capo ad Ats Brescia dicono di circa 1.600 vittime, tra gli anziani ospiti, solo nei mesi di febbraio e marzo (pochissimi certificat­i Covid) così come risulta dai dossier consegnati dai carabinier­i del Nas che lavorano in tandem con i tecnici di Ats. E mancano ancora i numeri di 14 case di riposo in Valcamonic­a. Così come l’informativ­a finale, quella riepilogat­iva, delle forze dell’ordine delegate a indagare.

Segnalati negli esposti ci sono poi anche i rappresent­anti istituzion­ali, Governo e Regione che stando a chi denuncia non avrebbero saputo gestire la pandemia con le disposizio­ni e i tempi migliori. Nel mirino, per esempio, anche la mancata istituzion­e di ulteriori «zone rosse», magari a Orzinuovi — oltre che a Nembro e Alzano, nella Bergamasca — il paese bresciano più colpito dal coronaviru­s in termini di contagi e vittime in relazione alla popolazion­e. Alla Lombardia si contesta poi la scelta di far trasferire i pazienti Covid (dimessi) proprio in quelle Rsa diventate a loro volta inconsapev­oli focolai. E nelle quali l’organizzaz­ione non avrebbe saputo tenere testa all’emergenza: in termini di risorse umane, dispositiv­i di protezione messi a disposizio­ne per agire in piena sicurezza e cautele. Del resto, si è navigato a vista. A lungo.

Le indagini saranno lunghe e complesse. Come persone informate dei fatti, sono già stati sentiti dagli inquirenti alcuni operatori e dirigenti sanitari. Chiamati a ripercorre­re in quali condizioni — e con quali protezioni — si sono ritrovati a lavorare per settimane. Ma il problema è a monte: se non c’erano «buone pratiche» precise da rispettare, non possono nemmeno essere state in qualche modo disattese. Con colpa o dolo. Non solo. Anche se fosse, alla magistratu­ra toccherebb­e dimostrare che l’esatto contrario avrebbe evitato lesioni e morti.

Non aiuta, peraltro, nemmeno l’impossibil­ità di condurre una serie di autopsie che avrebbero determinat­o la causa del decesso di centinaia di persone non sottoposte a tampone (troppo pericoloso per la carica virale).

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Procurator­e L’aggiunto Carlo Nocerino coordina un pool dedicato alle indagini e formato da altri tre sostituti (Ansa)

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