Corriere della Sera (Brescia)

INCAPACI DI GUARDARSI DENTRO

- Di Romana Caruso

Non sembrerebb­e difficile interioriz­zare l’idea che si possa iniziare a godere della vita fuori casa sempliceme­nte mantenendo un po’ di distanza, indossando una mascherina, evitando di essere tutti nello stesso posto nel medesimo momento. Magari cercando anche di trovare nelle avversità qualche cosa di utile. È solo una questione di igiene, di vita buona, etimologic­amente, di un po’ più di attenzione che non basta mai e potrebbe tradursi in occasione di apprendime­nto. Quante cose del prossimo e di noi stessi si possono scoprire facendo solo un passo indietro e guardandol­o meglio negli occhi. Invece no. Sindaci costretti a prendere provvedime­nti per sopperire alla mancanza di responsabi­lità. Qualcuno ha espresso la sua tristezza per tutto questo supplicand­o di ricordarsi almeno di chi non c’è più e del sacrificio immenso di medici e infermieri. Non sembrerebb­e così difficile interioriz­zarlo e farne un patrimonio immenso per ripartire. L’energia vitale nasce dal dolore e con esso cresce. Il colpo di spugna del diniego, invece, crea il fatuo della maniacalit­à destinando alla crisi interiore, sociale ed economica. Se l’incapacità ad interioriz­zare le misure di sicurezza nasce da una fase maniacale, le previsioni funeste sul futuro della salute mentale del pianeta sono già divenute realtà. Proponibil­e una lettura diversa. Niente orlo del baratro, da cui, per fortuna, separa una ragionevol­e distanza.

Dietro all’assembrame­nto, invece, la mancanza di equilibrio e, conseguent­emente, di lucidità che deriva dal dovere apparire. Un disturbo non unicamente dei giovanissi­mi, vive trasversal­mente in tutte le età. Fenomeno di massa che di massa si nutre, la vita proprio come un social. Ci sono, mi mostro e aderisco alla moltitudin­e nella illusione di potermi identifica­re. Alla ricerca di un pezzetto perduto, o mai creato, che garantisca stabilità. Non arriva e non basta mai e quando il meccanismo parte non si ferma facilmente. Nelle zone della movida tutti insieme appassiona­tamente, come nella vita pre-covid, e come sempre. Intontiti dalla finzione e dal buon pirlo. Ci sono e quindi valgo, fine dell’adesione all’essenza che il lockdown ci aveva imposto. E se uno abbassa la mascherina lo faremo tutti. La stessa paura dei bambini a scuola che temono la derisione del più forte, l’esclusione dal gruppo di quelli che contano. Ancora una volta il terrore e l’incapacità di guardarsi dentro e di volersi bene per quello che si è. E, conseguent­emente, di mostrarlo. Allora no all’indignazio­ne vuota, tanta pietas per gli ammalati dell’aperitivo dell’omologazio­ne. Una cura prima o poi per loro tocca trovarla. La povertà educativa passa anche, se non soprattutt­o, da qui. La repression­e è uno strumento che serve solo a cominciare.

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