Bianco, quella montagna incantata
L’ultimo romanzo di Sara Loffredi «Fronte di scavo» sul tunnel che unisce Italia e Francia
Un reale e metaforico «Fronte di scavo». Si intitola così il nuovo romanzo della giovane scrittrice bresciana Sara Loffredi, edito da Einaudi. Sullo sfondo di quella che è stata definita «la più grande operazione di chirurgia geografica del secondo dopoguerra», ossia la costruzione del traforo del Monte Bianco, si incrociano le vite di Ettore, ingegnere impegnato nei lavori, del capocantiere Hervè e dell’indomita Nina.
Come nasce questo tuo nuovo romanzo?
«Nasce da una suggestione. Ho passato in Valle d’Aosta, per la precisione a Saint Pierre, i primi anni della mia vita e quando la mia famiglia si è trasferita a Brescia ho comunque continuato a trascorrere in Valle tutte le estati. L’amore per le storie mi arriva appunto dalle camminate estive, quando mio padre mi spronava a immaginare, per distrarmi dalla fatica. La montagna è dunque un elemento imprescindibile della mia storia personale, del mio vissuto profondo, e curiosamente mi sono sempre chiesta cosa ne pensasse Lei, la vetta più alta, di un’opera come quella del tunnel, che la attraversa da parte a parte. Per questo nel libro le ho dato voce».
La vicenda ha come sfondo lo scavo del traforo del Monte Bianco. Per i protagonisti, un’impresa reale che ha anche una valenza metaforica: ci spieghi questo collegamento?
«Mettersi in testa di bucare una montagna come il Bianco ha molte valenze. L’impresa reale è carne e visione. La carne di minatori che scavano nella roccia armati di perforatrici, nel buio più fondo, in un budello allagato dall’acqua che filtra dal ghiacciaio, e la visione di uomini come Dino Lora Totino, l’ingegnere che ha iniziato a scavare nella roccia con un pugno di uomini, senza permessi, appena finita la guerra. L’impresa metaforica è invece quella di arrivare “di là”, che è un luogo reale fino a un certo punto, e trovare una montagna in mezzo è il modo migliore di provare a sé stessi quanto si è disposti a cercare una via che esiste anche se gli altri non la vedono».
L’impresa è anche immagine di un’Europa che guardava al futuro con fiducia: quali analogie o differenze cogli con l’oggi?
«Il Bianco è un confine naturale, lo è stato per millenni. Il tunnel ha reso Courmayeur e Chamonix due città vicine, raggiungibili in automobile in breve tempo; ha permesso uno scambio commerciale e turistico più rapido, che in quel momento storico credo fosse auspicabile. Oggi di confini naturali ce ne sono sempre meno, la tecnologia li supera e la velocità degli scambi è aumentata esponenzialmente, quindi ci sentiamo più esposti e per ripararci creiamo confini fittizi, alziamo muri che comunque verranno divelti perché il mondo va in una direzione di prossimità e non credo che questo movimento possa essere fermato».
“Fronte di scavo” è il tuo secondo romanzo, dopo “La felicità sta in un altro posto” del 2014, ambientato tra la Calabria e Napoli. Nel mezzo c’è stato un libro scritto con
Luigi Celeste, sulla sua difficile esperienza di vita, dalla frequentazione degli skinheads al carcere, alla rinascita. C’è un filo rosso che collega la tua narrativa?
«Sicuramente mi piace partire da dati di realtà, cercando di documentarmi il più possibile per realizzare una scena credibile nella quale far agire i miei personaggi. Nel primo romanzo si trattava di Reggio Calabria devastata dal terremoto del 1908 e Napoli nel pieno della Belle Epoque. Qui mi sono trovata invece catapultata tra le nevi delle Alpi all’inizio degli anni Sessanta, sul cantiere di una delle opere più importanti di sempre. Tra questi due progetti narrativi c’è stata la storia di Celeste scritta a quattro mani con il protagonista. Einstein diceva che la realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente, e io sono d’accordo con lui: per questo parto da ciò che è successo e immagino vite che avrebbero potuto accadere o che magari, in qualche modo, sono accadute».
Tu sei bresciana d’adozione: c’è qualcosa che rimanda a Brescia nella tua scrittura o nel tuo lavoro?
«Brescia è stata casa per moltissimo tempo e ancora oggi ci torno con piacere, anche perché la mia famiglia è ancora qui. Da mia madre, che è nata in Franciacorta, ho preso sicuramente la perseveranza: nessun risultato arriva senza la capacità di andare avanti anche quando lo sforzo sembra non dare i frutti desiderati. È difficile, eppure a volte è necessario continuare a scavare, un metro dopo l’altro, nel buio dell’incertezza, certi che dall’altra parte si aprirà un nuovo mondo, appena oltre quella parete di roccia che sembra non finire mai».