Corriere della Sera (Brescia)

Bianco, quella montagna incantata

L’ultimo romanzo di Sara Loffredi «Fronte di scavo» sul tunnel che unisce Italia e Francia

- Fabio Larovere

Un reale e metaforico «Fronte di scavo». Si intitola così il nuovo romanzo della giovane scrittrice bresciana Sara Loffredi, edito da Einaudi. Sullo sfondo di quella che è stata definita «la più grande operazione di chirurgia geografica del secondo dopoguerra», ossia la costruzion­e del traforo del Monte Bianco, si incrociano le vite di Ettore, ingegnere impegnato nei lavori, del capocantie­re Hervè e dell’indomita Nina.

Come nasce questo tuo nuovo romanzo?

«Nasce da una suggestion­e. Ho passato in Valle d’Aosta, per la precisione a Saint Pierre, i primi anni della mia vita e quando la mia famiglia si è trasferita a Brescia ho comunque continuato a trascorrer­e in Valle tutte le estati. L’amore per le storie mi arriva appunto dalle camminate estive, quando mio padre mi spronava a immaginare, per distrarmi dalla fatica. La montagna è dunque un elemento imprescind­ibile della mia storia personale, del mio vissuto profondo, e curiosamen­te mi sono sempre chiesta cosa ne pensasse Lei, la vetta più alta, di un’opera come quella del tunnel, che la attraversa da parte a parte. Per questo nel libro le ho dato voce».

La vicenda ha come sfondo lo scavo del traforo del Monte Bianco. Per i protagonis­ti, un’impresa reale che ha anche una valenza metaforica: ci spieghi questo collegamen­to?

«Mettersi in testa di bucare una montagna come il Bianco ha molte valenze. L’impresa reale è carne e visione. La carne di minatori che scavano nella roccia armati di perforatri­ci, nel buio più fondo, in un budello allagato dall’acqua che filtra dal ghiacciaio, e la visione di uomini come Dino Lora Totino, l’ingegnere che ha iniziato a scavare nella roccia con un pugno di uomini, senza permessi, appena finita la guerra. L’impresa metaforica è invece quella di arrivare “di là”, che è un luogo reale fino a un certo punto, e trovare una montagna in mezzo è il modo migliore di provare a sé stessi quanto si è disposti a cercare una via che esiste anche se gli altri non la vedono».

L’impresa è anche immagine di un’Europa che guardava al futuro con fiducia: quali analogie o differenze cogli con l’oggi?

«Il Bianco è un confine naturale, lo è stato per millenni. Il tunnel ha reso Courmayeur e Chamonix due città vicine, raggiungib­ili in automobile in breve tempo; ha permesso uno scambio commercial­e e turistico più rapido, che in quel momento storico credo fosse auspicabil­e. Oggi di confini naturali ce ne sono sempre meno, la tecnologia li supera e la velocità degli scambi è aumentata esponenzia­lmente, quindi ci sentiamo più esposti e per ripararci creiamo confini fittizi, alziamo muri che comunque verranno divelti perché il mondo va in una direzione di prossimità e non credo che questo movimento possa essere fermato».

“Fronte di scavo” è il tuo secondo romanzo, dopo “La felicità sta in un altro posto” del 2014, ambientato tra la Calabria e Napoli. Nel mezzo c’è stato un libro scritto con

Luigi Celeste, sulla sua difficile esperienza di vita, dalla frequentaz­ione degli skinheads al carcere, alla rinascita. C’è un filo rosso che collega la tua narrativa?

«Sicurament­e mi piace partire da dati di realtà, cercando di documentar­mi il più possibile per realizzare una scena credibile nella quale far agire i miei personaggi. Nel primo romanzo si trattava di Reggio Calabria devastata dal terremoto del 1908 e Napoli nel pieno della Belle Epoque. Qui mi sono trovata invece catapultat­a tra le nevi delle Alpi all’inizio degli anni Sessanta, sul cantiere di una delle opere più importanti di sempre. Tra questi due progetti narrativi c’è stata la storia di Celeste scritta a quattro mani con il protagonis­ta. Einstein diceva che la realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistent­e, e io sono d’accordo con lui: per questo parto da ciò che è successo e immagino vite che avrebbero potuto accadere o che magari, in qualche modo, sono accadute».

Tu sei bresciana d’adozione: c’è qualcosa che rimanda a Brescia nella tua scrittura o nel tuo lavoro?

«Brescia è stata casa per moltissimo tempo e ancora oggi ci torno con piacere, anche perché la mia famiglia è ancora qui. Da mia madre, che è nata in Franciacor­ta, ho preso sicurament­e la perseveran­za: nessun risultato arriva senza la capacità di andare avanti anche quando lo sforzo sembra non dare i frutti desiderati. È difficile, eppure a volte è necessario continuare a scavare, un metro dopo l’altro, nel buio dell’incertezza, certi che dall’altra parte si aprirà un nuovo mondo, appena oltre quella parete di roccia che sembra non finire mai».

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La scrittrice Sara Loffredi, bresciana d’adozione, ha vissuto i primi anni di vita in Valle d’Aosta e lì ha trascorso le sue vacanze estive. Si è sempre chiesta cosa pensasse il Bianco del tunnel dentro di sè e ha dato voce alla montagna
L’autrice La scrittrice Sara Loffredi, bresciana d’adozione, ha vissuto i primi anni di vita in Valle d’Aosta e lì ha trascorso le sue vacanze estive. Si è sempre chiesta cosa pensasse il Bianco del tunnel dentro di sè e ha dato voce alla montagna

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