Eccellenti visioni
Dalla prima della «Dolce vita» (con sputo al regista Fellini) ai capolavori di Cukor e Buñuel Quando il cinema faceva boom
Milano è stata dal dopoguerra agli anni Ottanta la città più popolosa di sale cinematografiche: la prima visione, la seconda che contava locali come Dal Verme, Diana, Cielo, Colosseo, Impero; la terza visione che elencava in ordine alfabetico i famosi «cinemini» di quartiere o sotto casa, decine di luoghi meravigliosi di socialità e fantasia immortalati nelle canzoni d’allora: Gaber in «Porta Romana» canta di un «cinemino due film cento lire», che era poi il Minerva in via Crema, mentre Jannacci ha reso immortale il Carcano di Porta Romana. Ma erano gli eleganti locali di prima visione, dall’enorme cartellonistica, ad essere presi d’assalto, circa 15 cinema storici, piazzati quasi tutti in corso Vittorio Emanuele, Piccola Broadway, dall’Odeon al Rivoli in San Babila, mentre lungo via Manzoni c’erano il Cavour, il fastosissimo Manzoni, col teatro accanto sotterraneo, e soprattutto il Capitol, uno dei locali che hanno contribuito alla grandezza del cinema italiano, iniziando da «Don Camillo», ma senza evitare gli scandali, compreso Pasolini («Racconti di Canterbury» e «Salò»).
Al Capitol trovarono il loro pubblico i capolavori di Fellini, De Sica, Visconti («Senso» e «La caduta degli Dei»), Germi («Signore & Signori»), Risi («I mostri»), Ferreri («L’Ape regina»), Olmi («L’albero degli zoccoli») oltre certo a tanti Hitchcock, Buñuel, Lumet, Huston, Cukor, Kazan, Huston e Chaplin... un elenco infinito lungo 35 anni. Il Capitol, con 1.350 posti divisi tra platea e galleria (che costava di più), si trovava in via Croce Rossa in asse con Montenapoleone di fronte al De Milan, dove c’è oggi ci sono il regno Armani e la metrò gialla, che forse l’avrebbe salvato dalla chiusura nell’estate del 1984.
S’inaugurò il 16 settembre 1949 con «La parata delle stelle» film del ’43, in ritardo perché durante la dittatura fascista non arrivavano film americani — anche «Via col vento» uscì posticipato di 10 anni, debuttò nel ’49 — aveva una scritta al neon con grafia casual e due maschere (pianto e riso), un lungo corridoio d’ingresso, una vasta sala d’attesa (anche se allora non si aspettava l’orario d’inizio) che portava in platea e due scaloni laterali come nelle vecchie case americane del Sud che si vedono nei film.
L’anno magico del Capitol fu il 1960: il 5 febbraio ospitò la prima di «La dolce vita», presente Fellini, cui l’elegante pubblico vip di allora riservò uno sputo come giudizio critico. L’indomani, dopo il risotto da Biffi, il regista volle vedere come andava il film col pubblico e s’aspettava il deserto, mentre vide le camionette della polizia che tenevano a bada il pubblico, che aveva già capito. Lo storico film restò mesi e mesi al
Capitol, con proiezioni anche a mezzanotte, non si parlava d’altro; nello stesso anno arrivò a ottobre, dopo il mancato Leone a Venezia, «Rocco e i suoi fratelli» di Visconti, girato a Milano, altro scandalo con scene oscurate dalla solerte censura, mentre a Natale fu la volta de «La ciociara» con Loren e De Sica al «gala». Il Capitol — primo ad ospitare il Cinemascope con «La tunica»— continuò a programmare i capolavori di Fellini (come il Mignon quelli di Antonioni), da «Otto e mezzo» (oltre due mesi di tenitura) a «Giulietta degli spiriti» fino ad «Amarcord», il film di Fellini davvero gradito dal vasto pubblico, sempre esaurito anche nelle prime domeniche senza auto per la crisi del petrolio.