COVID, L’OSPITE SEMPRE PRESENTE
Il nuovo focolaio di Sars-Cov-2 scoperto nel Vicentino, a due passi da Brescia, riaccende incubi recenti e paure mai fugate. Non abbiamo ancora celebrato la dimissione ospedaliera dell’ultimo paziente Covid che già il rogo torna a divampare a due passi da qui, in quel Veneto che avevamo imparato a celebrare per come ha affrontato e circoscritto il Grande Flagello. I dati bresciani permanenti e quelli veneti più recenti danno corpo a un fantasma che aleggiava da tempo: la possibilità che la pandemia si trasformi in endemia, ovvero una malattia latente e sempre in agguato, annidata e ricorrente. Un quadro avvalorato dal fatto che tutto questo accade in estate, mentre le complicanze e i depistaggi delle sindromi influenzali dell’autunno sono dietro l’angolo. Se così è, non resta che affidarsi alla scienza medica e alla responsabilità individuale. Al netto delle risse mediatiche dei virologi, che hanno dissipato lo straordinario capitale di fiducia iniziale, la medicina è la nostra grande ancora di salvezza. È vero, è stata tardiva nell’allarme, esitante nella prognosi epidemica, ma ha anche prodotto uno sforzo titanico nella terapia. Ora le si chiede uno sforzo definitivo sul fronte della profilassi con il vaccino. L’altro scudo a cui affidarsi è la responsabilità individuale. Il manager vicentino che ha affrontato attività lavorative, eventi pubblici e vita di relazione come se nulla fosse la febbre alta è oggetto di una legittima esecrazione pubblica, appena un poco meno violenta di quella che si riservava agli untori. Tutelare gli altri e sé stessi con la prudenza è un imperativo categorico. Pochi giorni fa l’Ateneo di Salò ha presentato un volume di storia locale in cui ricorre anche il tema delle epidemie del Sei-Settecento. Fa impressione scoprire che cinquecento anni fa, di fronte al balbettare della medicina, le uniche misure difensive efficaci contro la peste erano la chiusura del paese (la zona rossa) e il blocco delle relazioni (il lockdown). Esattamente come accade oggi. Questo chiama in causa la responsabilità individuale e i comportamenti sociali. Il fatto è che la socialità, gli stili di vita, i consumi oggi non sono più quelli di cinque secoli fa. Eventi pubblici e riti religiosi, appuntamenti culturali e spettacolari, politica e fede, svago e impegno, lavoro e cultura vivono di relazioni, prossimità, incontri vis-a-vis. L’endemia ci costringe a tempi e spazi, distanze e ritmi completamente diversi: bisogna adeguarsi. Sperando nella medicina. E mobilitando il senso di responsabilità.