Belfanti: «La Statale è disponibile ma non come ruota di scorta»
Capitali della cultura, qualche riflessione dopo che la Loggia ha scelto la Bocconi
Brescia e Bergamo capitali della cultura nel 2023. Mancano due anni e mezzo, praticamente è come dire dopodomani se si vuol arrivare preparati all’evento. Dando per scontato, ovviamente, l’ultimo atto formale. Marco Belfanti, per anni direttore del dipartimento di Economia dell’Università Statale, dallo scorso anno è coordinatore del corso di laurea in Economia e gestione delle attività culturali nella sede distaccata di Mantova.
Buongiorno professore, soddisfatto delle ambizioni bresciane?
«Sì, certo».
La trovo di poche parole. Qualcosa non va?
«No, nulla, è che...».
Si confidi.
«Guardi, trovo molto positiva l’idea della valorizzazione di un percorso che Brescia ha intrapreso da anni. Non è certo un balzo in avanti, ma un inserirsi in un percorso avviato da tempo. L’auspicio è che la nomina a capitale possa diventare volano per accrescere una nuova vocazione che la città sta coltivando da tempo».
Tutto bene, quindi?
«Sì, la cultura è una leva importante in una visione di crescita sostenibile, una visione peraltro coerente con l’orientamento dato dall’attuale rettore e per cui credo che ci siano grandi possibilità di sinergia. Per questo noi ci sentiamo automat icamente al servizio della città in questo percorso».
A dire il vero pare che l’Amministrazione abbia coinvolto la Bocconi nella partita.
«Ho letto, con tanto di nomi e cognomi delle persone coinvolte. Sarò sincero, la cosa mi ha anche colpito. L’università e il dipartimento di Economia si sono impegnati a proporre a Mantova un corso di laurea sulla gestione delle attività culturali. A Mantova, la città del festival della letteratura e di tante iniziative culturali. Questo per dire che se ci presentiamo a Mantova riteniamo evidentemente di avere le competenze e le spalle sufficientemente robuste».
E invece…
«Ne prendiamo atto. L’Amministrazione avrà le sue buone ragioni ed evidentemente ha preferito muoversi in modo diverso. Mi sembra di capire che nemmeno l’altro ateneo cittadino sia stato coinvolto: forse, mi passi la battuta, è stata una scelta bipartisan per evitare di creare tensioni tra le due università. Sarebbe una scelta salomonica singolare ma molto lungimirante».
Magari verrete coinvolti più avanti.
«Noi siamo sempre disponibili, ci mancherebbe. L’importante è che non ci si chieda di fare la ruota di scorta di altri a percorso già avviato. O che il coinvolgimento non si trasformi nel chiedere semplicemente
2023
Capitali della cultura
L’anno in cui le città di Brescia e Bergamo, unite nella tragedia della pandemia da Covid 19, saranno insieme capitali della cultura
la disponibilità di qualche chiostro».
Scusi la brutalità: non è che è anche questione di soldi?
«Da parte mia certo non è così. Lo spirito è completamente diverso e ci interessa essere presenti perché siamo l’università della città».
Lei è mantovano e bresciano. Ci racconti l’esperienza di Mantova.
«Il successo di Mantova come capitale della cultura è stato il coinvolgimento corale e collettivo. Di sicuro non può essere impresa dell’uomo solo al comando, ma lo sforzo deve essere più ampio. Anche perché l’obiettivo è fare da
traino a un processo già avviato e fare in modo che duri nel tempo. Brescia capitale della cultura non può essere un evento isolato in un anno».
E della doppia nomina, Brescia e Bergamo, che ne pensa?
« Se devo essere sincero l’accoppiata mi lascia un po’ perplesso, la capitale è una per definizione, non possono essere due. Però ovviamente ne comprendo il significato politico, l’idea delle città martiri del Covid. L’occasione del 2023 può essere presa per superare quest’anno drammatico».