Corriere della Sera (Brescia)

Un Beethoven più svelto

Lonquich lancia la Verdi in una lettura «accelerata» della seconda sinfonia

- Enrico Parola

«Arrivo a Milano direttamen­te dal fes t i v a l di Lockenhaus, dove ho gustato la gioia di tornare a fare musica insieme ad amici, davanti al pubblico; non so come sarà dirigere e suonare con l’orchestra nelle nuove condizioni imposte dalle misure sanitarie, ma posso ben immaginare che in Auditorium vibrerà un’immensa voglia di suonare». Alexander Lonquich è da stasera ospite d’onore della Verdi, pianista e direttore nel quarto concerto e nella seconda sinfonia di Beethoven. Davanti a lui un’orchestra di soli 35 elementi, debitament­e distanziat­i.

«Ho in mente una certa interpreta­zione dei brani e ho le mie idee su come andranno eseguiti, ma per ora sono idee: devo vedere come rispondono i professori in queste condizioni; mi piacerebbe farli suonare in piedi, come ancora si usava all’epoca. Sicurament­e spingerò per tempi rapidi, scattanti: la seconda è una sinfonia compatta, a differenza della successiva “Eroica”, oggi assai più popolare, riscosse subito grandi consensi tra i contempora­nei». Il quarto concerto per pianoforte si immerge in atmosfere ben diverse dall’incalzante scintillio della sinfonia in re maggiore: «Lo ritengo il primo concerto integralme­nte beethoveni­ano: i primi due sono ancora molto classici, anche il terzo è in vari punti stretto debitore del modello mozartiano, col quarto invece il linguaggio e la struttura si rendono autonomi, possiedono un’originalit­à totale. Il lirismo che si diffonde senza soluzione di continuità lungo tutto il primo movimento, l’abissale profondità della parte centrale, che ha spinto alcuni critici a vedervi una rivisitazi­one del mito di Orfeo e altri una preghiera espressa dal pianoforte, l’asimmetria del finale che provoca quel senso di ironia così tipico in Beethoven: in ogni momento questo brano si presenta come l’opera di un autore ormai entrato nel pieno della maturità e della propria autonomia artistica». Tra le particolar­ità non va dimenticat­o il piglio cameristic­o: per due terzi del concerto Beethoven chiede al pianista di suonare tra il piano e il pianissimo, con rare accensioni verso il mezzo forte: «Un aspetto decisivo, che ho ancor meglio compreso quando l’ho suonato al fortepiano, lo strumento dell’epoca meno potente degli attuali Steinway; oggi un fagotto che suona col solista deve per forza spingere sul forte, ma Beethoven in partitura gli richiede il piano: è difficile oggi trovare questo bilanciame­nto, ma se ci si riesce l’effetto è sublime».

Come tanti colleghi Lonquich ha visto annullare tutti gli impegni fino a ottobre, anche se adesso, come confermano Lockenhaus e la Verdi, qualcosa si muove: «Certo, il dispiacere c’è stato, ma non ho mai pensato troppo al futuro: mi sentivo pronto ad accettare quello che sarebbe venuto. Ho anche la fortuna di avere una moglie pianista (Cristina Barbuti, ndr), con cui spesso suono, e anche adesso con lei posso affrontare il repertorio a 4 mani, condividen­do tastiera e sgabello, vicini vicini; oggi è un bel privilegio…».

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Ho potuto compensare la solitudine di questi lunghi mesi suonando a quattro mani con mia moglie Cristina

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Maestro Alexander Lonquich si esibisce stasera nel doppio ruolo di direttore e solista nel quarto Concerto per pianoforte

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