Mostra sul Covid e la citazione «negazionista»
Segni di penna Bic, sindoni di carta, ombre domestiche, fazzoletti-scultura e mani sporche di terra: la mostra ha un afflato autentico, nobile, non retorico. Il suo manifesto, invece, una citazione equivoca alla prima riga. Il testo che racconta l’ispirazione di GestoZero, la collettiva allestita in Santa Giulia per raccontare la rinascita dell’arte dopo il Covid, inizia con una frase di Giorgio Agamben, il filosofo che ha definito il coronavirus una «supposta epidemia».
L’autore di «farneticazoni» (cit Paolo Flores d’Arcais), il teorico della «filosofia del c..» (ancora d’Arcais), il pensatore tacciato da parecchi colleghi, editorialisti e intellettuali di essere un negazionista, viene citato da Maurizio Donzelli, il curatore di GestoZero,
nel manifesto della mostra. Testuale: «Siamo circondati dalla paura e dalla morte. Il filosofo Giorgio Agamben in una lettera apparsa su Quodlibet il 13 aprile 2020 scriveva a proposito dei corpi delle persone morte: “Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che — cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi — che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?». La citazione, messa così, è sacrosanta, giusta, immune alle polemiche. Il problema è che, oltre a quella frase, l’autore ne ha scritte altre. Un breve riassunto: a fine febbraio, Agamben ha parlato dell’epidemia come di qualcosa «poco più di una normale influenza», un pretesto per «frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza». L’11 marzo si è ribellato ai domiciliari: i decreti del governo trasformavano «ogni individuo in potenziale untore», abolivano il prossimo e inventavano la «figura del portatore sano e precoce», un untore manzoniano concepito per creare potere. Per citarne un’altra massima: lo scorso aprile, parlando del distanziamento sociale, Agamben ha scritto che stare separati porta a inventare una massa di passivi, non di individualisti. Eccetera eccetera.
Va precisato che a chi lo ha accusato di essere un negazionista, il filosofo ha risposto con il cianuro: quella parola è un «indegno abuso terminologico» e il suo è un tentativo di conoscere la Storia. Nonostante le precisazioni e la portata indiscussa del suo pensiero — è tra i più grandi filosofi al mondo —, nei suoi scritti sull’epidemia Agamben resta ambiguo.
Era inevitabile citarlo nella mostra in Santa Giulia? «È certamente un intellettuale polemico, a volte violento, fuori dal coro» ammette Donzelli. «Le sue riflessioni più contestate risalgono a un momento di incertezza: all’inizio del contagio era difficile capire, e tutti eravamo assaliti da dubbi e incertezze. In ogni caso, certe domande di Agamben rimangono e colgono aspetti fondamentali sulla nostra società. È da queste domande che sono partito per il mio manifesto: fino a che punto siamo capaci di disumanizzarci?».