«Tutti quei clic senza la testa»
«Imbecilli.
Nel dizionario dei sinonimi edito da Laterza/Mondadori troviamo anche le voci: cretini, scemi, stupidi, fessi, sciocchi, babbei, balordi, citrulli».
Imbecilli. Nel dizionario dei sinonimi edito da Laterza/Mondadori troviamo anche le voci cretini, scemi, stupidi, fessi, sciocchi, babbei, balordi, citrulli, grulli, mammalucchi, scimuniti e, aggiungerei io, anche il popolaresco termine che li accomuna agli attributi maschili. Ma imbecilli mi sembra il più appropriato e il più immediato a definire quel gruppetto di personaggi che sabato primo agosto, a Crema, di fronte a una donna che si è data alle fiamme, invece di soccorrerla ha ritenuto fosse meglio immortalare la scena sul proprio cellulare. Ormai, fotografare con il telefonino, nel nuovo linguaggio della comunicazione fai-da-te, ha aperto sterminate praterie a squallidi personaggi che fanno della volgarità e dell’ oscenità il proprio modus operandi. E non mi vengano a raccontare che era spirito di doverosa informazione quello che li ha spinti al fattaccio; era ahimè la conferma di un protagonismo che rincorre l’ agognato traguardo del diventare «virali». A qualunque costo.
Per anni si è detto che l’avvento del digitale avrebbe portato una forma di maggior democratizzazione della fotografia, un modo più veloce e personale di interpretarla e un grande contributo alla creatività personale: sono ancora in attesa che ciò avvenga ma per il momento grandi conquiste non ne ho viste, se non la constatazione che la fotografia è stata contagiata da una forma di obesità, conclamata e pubblicizzata, dove la quantità sta annullando la qualità, dove la parte del leone la recita il selfie, ormai unica testimonianza accettata di partecipazione a un evento e dove non è richiesto pensare. Henri Cartier-Bresson, grandissimo interprete di quella che io amo definire fotografia sociale, diceva che prima di fare uno scatto bisogna mettere insieme testa, occhio e cuore. Difficile credere che i selfisti alla caccia del Salvini balneare ne abbiano assimilato la lezione o che l’abbiano fatto quelle migliaia di whatsappisti che si sono fotografati con alle spalle il ponte di Morandi crollato. Di certo qualcuno obietterà che quella non è fotografia, ma la storia dell’ arte ci ha abbondantemente insegnato che definire i confini di un linguaggio espressivo non è poi tanto facile e, giustamente, neanche auspicabile. E poi stabilire dove finiscano i fotografi e dove inizino gli imbecilli, visto che la licenza di uccidere è stata data a tutti e senza esami, incontrerebbe troppe soggettività . Oggi non basta più documentare un accadimento per dimostrare l’ io c’ero: oggi è necessaria la mia presenza all’interno della scena. Una volta era la mano del fotografo, la sua cultura, il suo schierarsi da una parte o dall’altra, il suo atteggiamento e la sua sensibilità a certificarne la firma: oggi è imperativo il selfie. Il 28 maggio 1974 in piazza Loggia io c’ero, e anche provvisto di macchina fotografica, ma non ho fatto lo sciacallo della disperazione, il macellaio dei sentimenti; pur scattando mi vanto di aver portato rispetto alla tragedia che si stava consumando. Ci fossero stati i telefonini avremmo assistito a qualche imbecille che, con la mano alzata, si immortalava con i morti alle spalle.Voglio sperare che tutto questo finisca, vittima suicida di quel disinteresse che investe le banalità e voglio anche credere che l’oscenità, sdoganata da un certo uso dei social, torni ad essere bandita dalla nostra cultura. Anche fotografica.