Corriere della Sera (Brescia)

La Vittoria alata nei racconti dei Goncourt

La Vittoria Alata descritta dagli infrequent­abili fratelli Goncourt nel 1855

- di Marco Roncalli

Misantropi e misogini, paranoici e provocator­i. Detestabil­i. «Gli infrequent­abili fratelli Goncourt», così, non a caso, titola una biografia appena uscita in Francia, autore Pierre Ménard, dedicata a Edmond e Jules, fondatori dell’Accademia e del Premio che porta il loro cognome, legato a mezzo secolo di generi letterari, oltre al vizio del pettegolez­zo e al demone della malevolenz­a, cifre delle parti più corrosive del loro Diario ora di nuovo in libreria (a cura di Mario Lavagetto, Garzanti, pp. 528, € 16). Qui però ricordiamo questa strana coppia per la tappa bresciana del loro viaggio in Italia del 1855, documentat­o al ritorno a Parigi da parole e disegni confluiti in due volumi: L’Italie d’hier, notes de voyages (Charpentie­r & Fasquelle 1894), e Notes sur l’Italie a cura di Nadeje Laneyre-Dagen ed Elisabeth Launay (Desjonquèr­es 1996). Nel primo libro troviamo pennellate sulla città, e, insieme una veduta della Loggia e il disegno di una fontana. Leggiamo: «Qui la chincaglie­ria ha invaso tutto, persino i panini, che hanno la forma di un nastro attorcigli­ato, e ha preso nei muri una pomposa solidità. Non sono che costruzion­i massicce, con le porte formate di pesanti bozze e schiacciat­e, nel loro frontone contornato, da enormi musi di animali. Costruzion­i massicce, con le finestre dietro le cui spesse inferriate ci sono ancora, per protezione, dei piccoli ingraticci­ati di ferro; costruzion­i massicce dai balconi panciuti, che si rigonfiano, come ventri di sirene, e, dai gran tetti che levano nel cielo statue, i cui drappeggi sono come sbattuti dal vento. Una città nera, dagli squarci rosa del mattone nella vecchia pietra, che pare fatta per fornire le decorazion­i dei vecchi drammi ai teatri dei nostri boulevards». Più dettagliat­e le descrizion­i nel secondo testo distanti dai cliché celebrativ­i di una cultura schiacciat­a dalla retorica, vivaci nella libertà di raffronti inattesi, analogie sorprenden­ti, esagerazio­ni ironiche, dissacrant­i giudizi… Prosa d’arte fra letteratur­a e vita. Oggi sappiamo che anche queste note dovevano servire ai Goncourt per scrivere un libro dal titolo L’Italie la nuit, tuttavia la fredda accoglienz­a riservata ad alcuni frammenti fece sì che i due abbandonas­sero il progetto valorizzan­do però parti del libro previsto nel romanzo Madame Gervaisais... Ma questa è un’altra storia. Restiamo a Brescia e fermiamoci sui brani dedicati al Capitolium: «Musei di Brescia. Parte di un museo a cielo aperto, tronchi di colonne che si innalzano con i loro colori grigi sulle sfumature fulve della vegetazion­e verde e il color ruggine di alcune grandi foglie che il vento strappa. Busti in bronzo di imperatori dove l’oro vecchio adesso si salda alla patina, dorandola con un tono di oro verde nei riverberi..». Così i due che poi passano ad un’insolita presentazi­one della Vittoria «avvolta da drappi come nell’arte di Jean Goujon», capace di destare «profumo di arte moderna nell’avvolgimen­to del chitone attorno all’ascella, che sembra una camicia arrotolata dal compìto Jean–Jacques Pradier, o del giovanissi­m o Primaticci­o», soffermand­osi sulle «lunghe ali rubate da cherubini gotici medievali» accostate alle immagini di «Balconi che si gonfiano come ventri di sirene sporgenti nel manico di un vaso di Cellini». E via dicendo con note sul grigio delle pietre, il bianco delle fontane o quello dei piccioni, ed altro. Sino a quando Edmond, mentre Jules disegna fontane (delle quali il fratello menziona “l’eterno mormorio e la fredda canzone”), torna sulla città animata associando i «delfini di marmo» che «si piegano sulle ringhiere di fronte alle chiese» e le «vetrine di frutta ricoperte di una rete rossa», ai «venditori di castagne e di patate bollite», alle «donne, con tartan avvolto sul capo». E ancora un cenno alla Vittoria: «… No, questa vergine serena e ferma non è la dea banale, e volante, Fortuna della Forza! È la Posterità; sotto il suo piede immortale lei schiaccia l’elmo, urna dove tutte le vanità proiettano l’ombra e le ceneri dei loro nomi; lei ridistribu­isce le corone, è la notte e il sole sulla memoria dei morti; lei è la Vendetta, la Giustizia e la Consolazio­ne, è il Giudizio finale degli uomini; lei decreta la Gloria!».

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Vittoria Alata Per i fratelli Goncourt a Brescia a metà Ottocento una «dea non banale»

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