Reddito cittadinanza Chiuse le indagini per 43 «furbetti»
La procura chiude tre filoni d’inchiesta sulle presunte indebite percezioni del finanziamento pubblico
Sono accusati di aver percepito per mesi, qualcuno anche per oltre un anno, il reddito di cittadinanza, ma senza averne diritto. Per lo più detenuti, alcuni condannati per reati ostativi, o persone agli arresti domiciliari, ma anche con un lavoro, o disponibilità economiche decisamente superiori a quelle dichiarate. Nei mesi scorsi, al termine di una serie di accertamenti della Guardia di Finanza, furono denunciate oltre cento persone: dopo aver riunito tre filoni di indagine, la procura ha chiuso l’inchiesta a carico di 43 indagati per truffa allo Stato. Tra loro figura anche uno straniero pizzicato dagli investigatori a bordo di un Porsche: in garage aveva altre due auto di lusso, eppure anche lui percepiva il reddito di cittadinanza.
● Nei mesi scorsi al termine di diverse attività la Guardia di Finanza denunciò oltre un centinaio di persone per truffa ai danni dello Stato, per aver percepito indebitamente il reddito di cittadinanza
● Si tratta per lo più di detenuti o evasori con redditi più alti dei dichiarati
La maggior parte di loro stava «scontando» una misura di custodia cautelare: ai domiciliari, o — soprattutto — in carcere. Ma senza averlo reso noto, come prevedrebbe il decreto di riferimento. C’era anche chi pare un lavoro ce l’avesse, e magari nemmeno in nero, eppure è riuscito a raggirare il sistema. Ancora, chi aveva disponibilità di denaro ben superiori alle cifre indicate sulla dichiarazione dei redditi. Per esempio lui: origini africane, agli arresti per riciclaggio, è stato pizzicato dalla Guardia di Finanza alla guida di un Porsche Cayenne immatricolato di recente e pagato 65 mila euro. Di auto di lusso, in garage, ne aveva pure altre due. Ciò nonostante, come gli altri, percepiva ogni mese il reddito di cittadinanza. In media, dai 500 agli 800 euro (che qualcuno avrebbe incassato anche per oltre un anno) pur senza averne diritto né requisiti. Rispondono quindi di truffa ai danni dello Stato.
Agli atti, centinaia di pagine frutto degli accertamenti — in più tranche — condotti dalle Fiamme Gialle negli ultimi mesi e che portarono a denunciare oltre un centinaio di persone tra città e provincia. All’epoca fu stimato un danno all’erario per circa 500 mila euro (le somme indebitamente ricevute furono poi restituite, grazie alla sinergia tra Finanza e Inps) ma non tutti arriveranno in aula. Tre i filoni di inchiesta coordinati dal sostituto procuratore Donato Greco, che ha chiuso le indagini e chiederà il processo per 43 persone. Stralciate alcune posizioni: una su tutte, quella di due «furbetti» stranieri condannati per associazione di stampo mafioso e già detenuti a Brescia: per competenza territoriale sarà Roma a trattare il loro caso.
Un’attività complessa, spiegò lo scorso autunno il comandante provinciale delle Fiamme Gialle, Marco Tolla, «sviluppata incrociando le informazioni nei database, con accertamenti investigativi mirati, spesso partendo da una serie di anomalie, per esempio tra redditi dichiarati, e tenore di vita».
Dagli accertamenti emerge, nel caso dei detenuti, fossero stati direttamente loro a chiedere il reddito di cittadinanza salvo poi omettere di comunicare la custodia cautelare in corso, o che a presentare domanda, per tutto il nucleo famigliare, fossero i parenti. Resta una condizione ostativa alla percezione, così come eventuali condanne per associazioni a delinquere, truffa (e derivati), terrorismo, mafia.
Di per sé si tratta di decine di posizioni individuali e sostanzialmente indipendenti tra loro quantomeno sotto il profilo penale: nessuna «organizzazione» strutturata in modo da ideare un raggiro finalizzato all’indebita percezione del contributo statale pur senza averne le prerogative, piuttosto, una (mala)prassi più diffusa, evidentemente, di quanto si pensi. Che richiede controlli preventivi piuttosto che successivi e a campione.