Eleganza senza tempo
Nello studio dietro Santa Maria delle Grazie bellezza e funzionalità si sposano in tutto: dalle scale agli schedari, dagli infissi ai mobili
«Linea errante». Così una mostra del 2003 in Trien ha definito Piero Portaluppi, l’architetto che a Milano, tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento, ha progettato edifici belli e importanti, destinati a cambiare il volto della città: Casa degli Atellani, il Palazzo della Banca Commerciale Italiana, il Planetario Hoepli, Villa Necchi Campiglio, il Palazzo dell’Arengario (oggi Museo del Novecento) o (con Gio Ponti) la sede delle assicurazioni Ras in corso in Italia. Ma anche gli arredi: i tavoli, i mobili bar, le scrivanie intarsiate, gli schedari da ufficio, le poltrone. Fortemente portaluppiano naturalmente è anche il suo studio che, dal 1999, è sede della Fondazione a lui dedicata, dietro Santa Maria delle Grazie. «Si trova in un edificio interamente progettato dall’architetto negli anni Trenta», spiega il pronipote Piero Maranghi, nel Cda della Fondazione presieduta da Letizia Castellini. «Dalla buca delle lettere alla porta con la stampa di Milano, dalle panche della sala riunioni alla scrivania. Ma si può dire che gli arredi che ha disegnato per se stesso siano anche i più belli (come la scrivania Omnibus), eleganti pezzi unici di grande attualità, basati su principi di funzionalità e non deperibilità: in casa Portaluppi ci sono degli infissi che, dopo 70 anni, scorrono ancora con incredibile morbidezza».
Scomparso nel 1967, però, Portaluppi viene un po’ dimenticato e il patrimonio dei suoi schizzi, disegni e fotografie sembra scomparire, disperso nelle case di chi lo aveva conosciuto. «In verità le cose erano già cambiate nel dopoguerra, non si perdonava al mio bisnonno di aver lavorato in epoca fascista. Per lui inizia un periodo buio anche per motivi privati: in Guerra aveva perso il fratello, Casa degli Atellani era stata distrutta dalle bombe, e lui cominciava a invecchiare. Così continua a lavorare, ma si occupa soprattutto di restauri e della presidenza della Facoltà di architettura, senza lo slancio di un tempo». Per vedere ricambiato il grande amore che l’architetto aveva per la città (basti ricordare «Cioperamor», il nome dato al piano regolatore del 1926, disegnato insieme a Marco Semenza) occorre attendere gli anni Novanta. «Il mio bisnonno amava follemente Milano. Lui — che pure ha molto viaggiato — era felice soprattutto qui, non andava via neppure d’estate», ricorda Maranghi, che si è occupato personalmente della ricerca dei documenti che ora formano l’archivio. «La riemersione è iniziata quando ho ricostruito la sua storia parlando con chi lo aveva conosciuto, a partire da mia nonna: è cominciato lì un effetto domino che ha portato alla Fondazione, allo scopo di recuperare e restaurare l’intero archivio tra documenti, disegni, lucidi, schizzi, ma anche mobili, oggetti, filmati e fotografie».
Poi è arrivata la mostra del 2003, è stato inaugurato il museo del Novecento, il Fai ha riaperto Villa Necchi e, pian piano, l’opera di Portaluppi è tornata ad avere l’attenzione che merita. Con una novità. «In autunno, a 30 anni dalla prima monografia, uscirà per Skira un nuovo e più completo saggio, curato da me, con il contributo di studiosi come Paolo Portoghesi, e raccoglie tutti i progetti che all’epoca non erano ancora stati individuati, con alcune scoperte come un villino a Roma e la grande idrovora vicino a Piacenza». Un omaggio importante, in attesa che la Fondazione riapra i battenti con le sue visite guidate.