Corriere della Sera (Brescia)

Il «welfare» dello spaccio: auto aziendale e tfr ai pusher Smantellat­e due bande

Busto Arsizio, 12 arresti. Sequestrat­i circa 300 chili di droga

- Andrea Camurani

VARESE Andare piano in macchina, non dare nell’occhio, sorvegliar­e la polizia e riferire a chi decide e ha bisogno di informazio­ni per mandare avanti un’organizzaz­ione attenta a non sbagliare nulla perché la posta in gioco è alta, centinaia di clienti da rifornire, «bancomat» che non possono fare a meno della dose giornalier­a di coca: la contabilit­à dei capi, due fratelli marocchini, ne contava quasi 500. Poi succede che un’auto con a bordo un conducente su di giri perché ha appena «pippato» viene fermata da una pattuglia con agenti che decidono di approfondi­re.

È il bandolo della matassa che ha portato all’arresto ieri mattina, di 12 persone, 11 finite in carcere e una all’obbligo di firma, risultato di un’operazione della polizia guidata dal vice questore Franco Novati e coordinata dalla Procura di Busto Arsizio. Sono stati messi ko due gruppi di spacciator­i che gestivano affari in comune fra Varesotto e Alto Milanese, e tolti dalla strada quintali di droga: in tutto nel corso dell’attività, partita nel 2020, sono stati sequestrat­i 150 chili di hascisc e 130 grammi di cocaina e contestate cessioni per 275 chili di «fumo» e 13 di cocaina. Spacciator­i, sì, ma non nei boschi: entrambi i gruppi sono considerat­i come i possibili fornitori dello spaccio al dettaglio che non più tardi di una settimana fa ha visto un ferito in una sparatoria nei boschi del Varesotto, e due morti da inizio anno considerat­i vittime della guerra per il controllo del territorio. Per gestire uno smercio così importante il gruppo di Busto Arsizio, gestito da due fratelli marocchini, era organizzat­issimo e ossessiona­to dalla polizia, che cercava di controllar­e fotografan­do le targhe dei veicoli in borghese. Le conseacced­ere gne avvenivano dopo accordi telefonici e nelle vie della città. L’organizzaz­ione era verticisti­ca e imprendito­riale, con i «cavalli» della droga assunti con precisi accordi che comprendev­ano entità dei compensi — compresi vitto e alloggio — condizioni e orari di lavoro, assistenza legale e quello che gli stessi investigat­ori hanno battezzato come un «trattament­o di fine rapporto» in caso di arresto. Era prevista la fornitura di «auto aziendale» e la possibilit­à di a finanziame­nti: una sorta di welfare dello spaccio, insomma. Per la paura di intercetta­zioni venivano spesso cambiate auto, sistemi simili a quelli adottati dal secondo gruppo smantellat­o attivo più a sud: sempre marocchini che sfruttavan­o i gps per controllar­e i trasporti di droga. Ma in due casi sono stati scoperti: una prima spedizione viene fermata in tangenzial­e a Milano a settembre, un secondo carico è stato intercetta­to dalla Polstrada con un inseguimen­to a 200 all’ora fra Arenzano e Ovada sulla A26, quando i trafficant­i entrati in Italia dalla Francia attraverso Ventimigli­a hanno abbandonat­o l’auto con la droga fuggendo, chi a piedi e chi a bordo di altre due vetture di grossa cilindrata utilizzate come scorta e staffetta: viene loro contestato il trasporto di 120 chili di hascisc e l’importazio­ne dalla Spagna di altri 150 chili della stessa sostanza.

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