L’altro Oriente a tavola
Pasticcio di aringhe ucraino, plov dell’Uzbekistan, sfoglia allo spiedo transilvana: la Via della Seta attraversa Milano nelle proposte dei nuovi ristoranti etnici Dove le donne sono in prima fila
Lontani i tempi in cui Dino Buzzati si cimentava con la bacchetta alla Pagoda di via Filzi, primo ristorante cinese in città. Era il 1962. Da allora è cambiato tutto. I locali solo cinesi, nel tempo cresciuti a dismisura, oggi sono meno e molti fanno cucina con citazioni giapponesi, qualcuno vanta i blasoni delle guide gastronomiche. L’aggettivo etnico sta sempre più stretto a chi vuole raccontare i nuovi modelli di ristorazione. E un altro Oriente, quello di terre che fanno da ponte tra Europa e Asia profonda, nell’area caucasica e oltre, si affaccia nel panorama gastronomico-globale milanese.
Due amiche imprenditrici, Lela Khoriauli (laureata in medicina) e Stefania Achilli (laureata in fisica) hanno aperto il loro secondo ristorante georgiano, DedasPuri. «Il nostro locale a Pavia funziona, così abbiamo deciso di venire a Milano. Con una cucina stile “pane della mamma”, come recita il nome del ristorante. Niente rivisitazioni, ma ricette di casa mia», dice Lela, nata in Georgia, pavese di adozione. Sarà perché la focaccia achiaruli khachiapuri, una barchetta ripiena di formaggio e uova, ha vago sapore di pizza, ma è tra i piatti più ordinati insieme ai khinkali, ravioloni di carne speziata. In menu interessanti proposte vegane. Il viaggio gastronomico nel Paese caucasico affacciato sul Mar Nero è accompagliere gnato da vini georgiani e dell’Oltrepò.
La Veranda fa cucina russaucraina ed è gestito dall’anno scorso da Hanna Yefimova, bielorussa in Italia fin da bambina. «Per festeggiare i miei 30 anni, e far conoscere la cucina russa ad amici italiani, sono venuta qui. A fine serata la titolare mi chiese a bruciapelo se volessi rilevare il locale. E così è stato. Parlo nove lingue, sono pronta ad accocommensali da tutto il mondo». Abbiamo assaggiato lo shuba (pasticcio di aringa con barbabietole e verdure), i
golubzi (involtini di cavolo bianco con carne mista, carote, cipolle, riso), i vareniki (ravioli ucraini di patate, funghi e cipolle, serviti con panna acida e burro fuso). Nei bicchieri, vodka, vini russi o moldavi e kvas, bevanda a base di segale.
Da Uzbek c’è una novità. «In cucina è entrata mia figlia», dice la titolare, l’uzbeka Irena Khan. «Vivo a Milano da vent’anni. Nel 2016 ho trasformato un bar tavola fredda nell’unico ristorante uzbeko in Italia». L’Uzbekistan è un Paese asiatico sulla Via della Seta, con città evocative come Samarcanda. La cucina ha influenze russe, turche e mediorientali. Profuma di cumino e coriandolo, panna acida e yogurt. Da non perdere il plov, golosa miscela di riso, carne, carote, cipolle e uvetta.
Torniamo in Europa, in Transilvania, con Kurtoso, insegna di street food aperta da Vladimir, bergamasco figlio di mamma ceca. Il kurtos è una sfoglia arrotolata cotta su uno spiedo, farcita in versione dolce (la classica) o salata. Considerazione finale: sarà un caso o è compito di donne imprenditrici — come Lela, Stefania, Hanna, Irena — dare un nuovo significato al termine «etnico» riferito ai ristoranti, che ha sempre un impercettibile sfumatura spregiativa?