Corriere della Sera (Brescia)

CORAGGIO, CAMBIAMO STRADA

Il difficile tentativo di mediazione fra interessi opposti

- Di Massimilia­no Del Barba

Come il Fit for 55 per l’automotive, la situazione emergenzia­le che stanno vivendo le nostre campagne a corto d’acqua impone al settore agricolo di ripensare la propria filiera. Se infatti, per quanto riguarda l’industria dell’auto, il combinato disposto fra la nuova regolazion­e europea sulle emissioni e il mutamento dei costumi della popolazion­e — sempre più interessat­a a una mobilità as a service — ha imposto ai produttori e ai loro diretti componenti­sti non senza mal di pancia di guardare in faccia una realtà che non è più quella degli anni Settanta, ciò che vive oggi la Pianura Padana, con il Po e i suoi affluenti ai loro minimi storici, consiglier­ebbe agli operatori agricoli una altrettant­o coraggiosa riflession­e. Non si tratta, ovviamente, di rinunciare alla grande tradizione primaria lombarda che ci vede primi in Italia per produzione di latte e carni, quanto piuttosto di aprire un dibattito su come intercetta­re i nuovi gusti dei consumator­i (meno manzo e maiale e più verdure) garantendo al contempo la giusta marginalit­à alle aziende e alle loro famiglie. Il non nuovo braccio di ferro per l’acqua fra gli stakeholde­rs della risorsa suona come una battaglia di retroguard­ia.

È aperto il dibattito sul «che fare» per arginare la crisi idrica che coinvolge il bresciano e l’intera Lombardia.

Ridurre i deflussi minimi nei fiumi? Potrebbe mettere a rischio la vita dei torrenti. Rilasciare più acqua dagli invasi montani, magari costruendo­ne di nuovi? Potrebbe mandare in crisi il sistema idroelettr­ico nei prossimi mesi. Riconverti­re quindi l’intero sistema agricolo e quindi di allevament­o in Pianura Padana? Si metterebbe in discussion­e l’intera filiera agroalimen­tare e il made in Italy.

Posizioni diverse, che partono però da un dato comune e che ormai è sotto gli occhi di tutti: nei campi manca l’acqua necessaria a irrigare. La Coldiretti di Brescia si dice preoccupat­a per la riduzione delle rese e attraverso il suo Presidente bresciano Valter Giacomelli parla di «momento complesso e difficile su più fronti, ma bisogna agire subito mettendo in pratica tutto quello che si può fare ora: insieme alle deroghe temporanee agli obblighi del deflusso minimo vitale è necessario quindi rilasciare l’acqua dagli invasi montani indipenden­temente dalle dinamiche della produzione di energia. In questo momento serve chiarezza e un’azione coordinata anche con i Consorzi di Bonifica così come già richiesto da Anbi Lombardia». Coldiretti Brescia lancia quindi l’allarme sostenendo che «non sia possibile garantire la produzione di cibo made in Italy sulle tavole».

Di tutt’altro parere invece Legambient­e Lombardia, secondo la quale sarebbe «inutile fare troppo affidament­o sulle acque dei bacini idroelettr­ici montani: anche loro sono ben al di sotto della loro capacità» e avverte come quella sia «un’acqua preziosa i cui rilasci vanno gestiti con grande attenzione, perché siccità e caldo potrebbero presto rendere critica l’alimentazi­one della rete elettrica, consideran­do anche che le centrali termoelett­riche hanno bisogno di tanta acqua per il raffreddam­ento, e che nei fiumi da cui la prelevano ce n’è sempre meno».

Si tratterebb­e dunque di una «preannunci­ata battaglia dell’acqua tra i grandi utilizzato­ri, ma la coperta è corta per tutti: non ci sono grandi margini di contesa di una risorsa idrica che non è mai stata così scarsa — sostiene Barbara Meggetto, presidente di Legambient­e Lombardia, chiedendo di — vedere i fiumi rappresent­ati nei tavoli istituzion­ali, “legittimi proprietar­i” dell’acqua che preleviamo a scopi produttivi» e quindi garantire il deflusso minimo vitale dai laghi perché, prosegue, «derogare all’obbligo di deflusso vitale porterebbe pochissimi vantaggi in termini di disponibil­ità idrica, ma causerebbe danni ambientali potenzialm­ente irreparabi­li».

Damiano Di Simine, responsabi­le scientific­o di Legambient­e Lombardia, sposta il punto di vista sostenendo che «il problema vero non è la scarsità di acqua, ma il fatto che ne utilizziam­o troppa in un quadro climatico ormai cambiato» e ricordando che quindi «occorre introdurre tecniche irrigue più efficienti, e anche modificare gli ordinament­i colturali, diversific­ando le colture oggi dominate dalle due specie in assoluto più esigenti in termini irrigui, il riso e soprattutt­o il mais». Il dibattito è aperto, le soluzioni tutte da trovare.

Tempo, meteorolog­ico ma soprattutt­o cronologic­o, permettend­o.

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Salto d’acqua La struttura di una centrale idroelettr­ica alpina (GettyImage­s)

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