CORAGGIO, CAMBIAMO STRADA
Il difficile tentativo di mediazione fra interessi opposti
Come il Fit for 55 per l’automotive, la situazione emergenziale che stanno vivendo le nostre campagne a corto d’acqua impone al settore agricolo di ripensare la propria filiera. Se infatti, per quanto riguarda l’industria dell’auto, il combinato disposto fra la nuova regolazione europea sulle emissioni e il mutamento dei costumi della popolazione — sempre più interessata a una mobilità as a service — ha imposto ai produttori e ai loro diretti componentisti non senza mal di pancia di guardare in faccia una realtà che non è più quella degli anni Settanta, ciò che vive oggi la Pianura Padana, con il Po e i suoi affluenti ai loro minimi storici, consiglierebbe agli operatori agricoli una altrettanto coraggiosa riflessione. Non si tratta, ovviamente, di rinunciare alla grande tradizione primaria lombarda che ci vede primi in Italia per produzione di latte e carni, quanto piuttosto di aprire un dibattito su come intercettare i nuovi gusti dei consumatori (meno manzo e maiale e più verdure) garantendo al contempo la giusta marginalità alle aziende e alle loro famiglie. Il non nuovo braccio di ferro per l’acqua fra gli stakeholders della risorsa suona come una battaglia di retroguardia.
È aperto il dibattito sul «che fare» per arginare la crisi idrica che coinvolge il bresciano e l’intera Lombardia.
Ridurre i deflussi minimi nei fiumi? Potrebbe mettere a rischio la vita dei torrenti. Rilasciare più acqua dagli invasi montani, magari costruendone di nuovi? Potrebbe mandare in crisi il sistema idroelettrico nei prossimi mesi. Riconvertire quindi l’intero sistema agricolo e quindi di allevamento in Pianura Padana? Si metterebbe in discussione l’intera filiera agroalimentare e il made in Italy.
Posizioni diverse, che partono però da un dato comune e che ormai è sotto gli occhi di tutti: nei campi manca l’acqua necessaria a irrigare. La Coldiretti di Brescia si dice preoccupata per la riduzione delle rese e attraverso il suo Presidente bresciano Valter Giacomelli parla di «momento complesso e difficile su più fronti, ma bisogna agire subito mettendo in pratica tutto quello che si può fare ora: insieme alle deroghe temporanee agli obblighi del deflusso minimo vitale è necessario quindi rilasciare l’acqua dagli invasi montani indipendentemente dalle dinamiche della produzione di energia. In questo momento serve chiarezza e un’azione coordinata anche con i Consorzi di Bonifica così come già richiesto da Anbi Lombardia». Coldiretti Brescia lancia quindi l’allarme sostenendo che «non sia possibile garantire la produzione di cibo made in Italy sulle tavole».
Di tutt’altro parere invece Legambiente Lombardia, secondo la quale sarebbe «inutile fare troppo affidamento sulle acque dei bacini idroelettrici montani: anche loro sono ben al di sotto della loro capacità» e avverte come quella sia «un’acqua preziosa i cui rilasci vanno gestiti con grande attenzione, perché siccità e caldo potrebbero presto rendere critica l’alimentazione della rete elettrica, considerando anche che le centrali termoelettriche hanno bisogno di tanta acqua per il raffreddamento, e che nei fiumi da cui la prelevano ce n’è sempre meno».
Si tratterebbe dunque di una «preannunciata battaglia dell’acqua tra i grandi utilizzatori, ma la coperta è corta per tutti: non ci sono grandi margini di contesa di una risorsa idrica che non è mai stata così scarsa — sostiene Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, chiedendo di — vedere i fiumi rappresentati nei tavoli istituzionali, “legittimi proprietari” dell’acqua che preleviamo a scopi produttivi» e quindi garantire il deflusso minimo vitale dai laghi perché, prosegue, «derogare all’obbligo di deflusso vitale porterebbe pochissimi vantaggi in termini di disponibilità idrica, ma causerebbe danni ambientali potenzialmente irreparabili».
Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia, sposta il punto di vista sostenendo che «il problema vero non è la scarsità di acqua, ma il fatto che ne utilizziamo troppa in un quadro climatico ormai cambiato» e ricordando che quindi «occorre introdurre tecniche irrigue più efficienti, e anche modificare gli ordinamenti colturali, diversificando le colture oggi dominate dalle due specie in assoluto più esigenti in termini irrigui, il riso e soprattutto il mais». Il dibattito è aperto, le soluzioni tutte da trovare.
Tempo, meteorologico ma soprattutto cronologico, permettendo.