La bella lezione dell’arachide
Un reading di Tiziano Scarpa per il nuovo festival di Belleville «Una piantina che matura sotto terra, in disparte: esempio di vita per noi»
Due giorni di Festival per affrontare una domanda: «Qual è il destino del nostro destino sulla Terra?». È così che nasce «2084-Storie dal futuro», organizzato dalla Scuola di scrittura Belleville, che si tiene oggi e domani all’East River sulla Martesana. Nel programma a cura di Matteo De Giuli, Nicolò Porcelluzzi e Marco Rossari, diversi scrittori si confrontano sul tema, da Amitav Ghosh a Björn Larsson, da Vincenzo Latronico a Veronica Raimo, e stasera alle 19 arriva Tiziano Scarpa con il reading inedito «Profittevoli esempi di vizio e di virtù».
Di che cosa tratterà il suo reading tra natura e letteratura?
«Sono degli exempla, come li chiamavano nell’antichità e nel Medio Evo, delle figure esemplari. Ultimamente c’è una grande curiosità esistenziale e scientifica per le forme di vita diverse, dal libro sui corvi a quello sull’intelligenza dei polpi, sui modi in cui gli esseri viventi intorno a noi hanno risolto il problema della sopravvivenza, ma trovo che accanto a questo aspetto ce ne sia uno anche morale. Possiamo cercare degli spunti etici nelle altre specie per migliorare noi stessi».
Può darcene un esempio? «Certamente, è l’arachide. Dell’arachide abbiamo, per così dire, una conoscenza “aperitivistica”, mentre l’arachide è una piantina di 60 centimetri che, quando il suo fiore si impollina, si chiude e punta verso il basso, scava in terra fino a sette centimetri e lì diventa un baccello che dà forma alle arachidi. È un fiore che matura sottoterra ed è un esempio morale, ha un suo tempo al sole e tra le intemperie, ma fruttifica al buio, in disparte. Oggi per noi è difficilissimo ricavare il nostro momento da baccello dell’arachide, in cui maturare lontano dalle interferenze in mezzo a cui viviamo, ma è fondamentale».
Le sue letture sono spesso delle perfomance, come mai?
«Perché credo nella natura percussiva, quasi batteristica, del linguaggio e avrò con me un oggetto di scena, non svelo quale, che aiuterà a rendere meglio questa idea. Mi interessa la pulsazione cardiaca delle parole, qualcosa che va oltre il semplice significato».
Lei è stato a Milano per dodici anni, dal 1995 al 2007, ed è poi tornato a Venezia. Come ha vissuto la città?
«Quando sono arrivato non c’erano più le latterie dove ci si trovava, ma non c’era ancora la Darsena, certe pedonalizzazioni, certe architetture, Ho incontrato un decennio di mezzo tra due Milano diverse e oggi mi sembra migliore e più bella. Al tempo è stata una città molto accogliente, dove nessuno ti chiedeva chi sei e da dove vieni, ma contava cosa sapevi fare. Venezia è bellissima, ma è una bestiolina a parte, mentre Milano mi ha dato anche una certa spigliatezza umana e tante amicizie. Non posso che ringraziarla».
Tra gli amici c’è Aldo Nove, con cui iniziò la sua carriera da scrittore «cannibale» a metà anni Novanta. Cosa pensa dell’attribuzione del vitalizio, tramite la legge Bacchelli?
«È un mio grandissimo amico e dobbiamo solo ringraziare che esista. A settembre arriverà da Einaudi con 350 sonetti che ho avuto il piacere e l’onore di leggere, sono una fioritura pazzesca, e sono contento di pagare le tasse, se tra i risultati della spesa c’è anche garantire il suo futuro».