Viva Verdi sempre
Alla Scala il «Rigoletto» torna diretto da Martone che ha attualizzato l’opera e i suoi contenuti politici: «Ho restituito al testo la sua carica rivoluzionaria»
Via il berretto a sonagli, via gorgiere e calzoncini da mago Zurlì. E via la gobba. Il Rigoletto che da domani tornerà alla Scala a 28 anni dall’ultima, sfarzosa, edizione di Gilbert Deflò, rifugge ogni convenzione. Michele Gamba e Mario Martone, direttore e regista, hanno lavorato di concerto per ridare a Verdi quel che è di Verdi: la violenza della denuncia sociale, l’attualità dello scandalo. E allora ecco un Rigoletto contemporaneo, complice e pusher di un Duca non necessariamente nobile ma molto ricco sì. Potente e prepotente come certi nababbi filantropi di party fastosi, orge di droga, sesso e violenza. Da praticare con la certezza di somma impunità.
«Verdi è sempre politico, non si può prescindere da questo tratto, basti pensare al celebre Viva Verdi che, ha fatto di lui un emblema del Risorgimento. Restituirgli la sua carica rivoluzionaria è rendergli giustizia», ricorda il regista napoletano il cui nuovo film, «Nostalgia», sta ottenendo grande successo. Per evidenziare quel solco iniquo tra classi sociali, ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri, Martone ha pensato a un film nero come «Parasite» del coreano Bong Joon-ho. «Dove il mondo è diviso in due, quello di sopra, luminoso e lussuoso, di chi tutto può permettersi e quello di sotto, oscuro e fatiscente, di chi nulla ha e avrà». A ricrearlo al Piermarini, Margherita Palli che ha realizzato una scena girevole con anfratti e luoghi nascosti degni di Barbablù, mentre Ursula Patzak firma costumi dei nostri tempi. Compresa la giacca lucida di Rigoletto, il baritono Amartuvshin Enkhbat, grande voce verdiana: «È il mio ruolo preferito, 10 anni fa il debutto in Mongolia, da allora l’ho cantato più di 60 volte». Grati a Martone e a Gamba per avergli fatto scoprire personaggi oltre i cliché si dicono anche Nadine Sierra (Gilda), Piero Pretti (il Duca), Marina Viotti (Maddalena).
«Un cast perfetto per quest’opera meravigliosa e crudele, che agisce per rarefazione», la definisce Gamba, che tra poco debutterà al Met di New York con «L’Elisir d’amore», e che per Rigoletto promette una «lettura asciutta, mai melodrammatica». Dove anche Gilda rivelerà tratti inediti. «Non vittima ma ribelle, pronta a disubbidire a un padre padrone deforme non nel corpo ma nell’anima, a innamorarsi dell’uomo sbagliato e immolarsi per lui. Un “suicidio” che può spiegarsi solo con un forte disagio psichico», suggerisce Martone che, prima che chiuda il sipario, ha in mente di far esplodere tutta la rabbia e la crudeltà insite in «Vendetta tremenda vendetta».
E mentre Gilda muore tra le braccia di Rigoletto, il Duca se ne va cantando. «Momento di sommo orrore in un’opera dove nessuno è buono», conclude ricordando che qui si compie la Maledizione, titolo originario di un’opera perseguitata dalla censura come fu il dramma di Victor Hugo che l’aveva ispirata, «Le roi s’amuse». Andato in scena a Parigi una sola sera, proibito per oltre mezzo secolo. Un debutto tempestoso ricordato da in un altro suo film, «Noi credevamo».