Uccise la ex «armato» dall’alcol
Le motivazioni per l’omicidio di Viktoriia: «Erano immersi in una bolla alcolica»
Non ci fu premeditazione, ma fu un «rigurgito di gelosia» a muovere la mano di Kadrus Berisa per sferrare 14 coltellate. L’omicidio di Viktoriia Vovkotrub, ucraina di 42 anni, è stato frutto «dell’occasionalità e dell’estemporaneità» fu «l’evoluzione inaspettata e illogica degli accadimenti tra persone immerse in una bolla alcolica». Secondo le motivazioni della condanna (in abbreviato) a 20 anni di carcere per Berisa, dunque, l’ennesima discussione, finita in tragedia tra i fumi dell’alcol a condire una grigliata.
Non ci fu premeditazione. Ma, per sferrare quelle 14 coltellate, la mano di Kadrus Berisa fu mossa da «un rigurgito di gelosia, alimentato in qualche misura dal comportamento incauto della vittima che si è recata nell’abitazione dell’imputato a dispetto dei segni premonitori». Secondo le motivazioni della condanna (in abbreviato) a 20 anni di carcere per Berisa, Viktoriia Vovkotrub è stata ferita a morte dopo l’ennesima discussione con l’ex amato, sessantenne kosovaro, il 4 novembre del 2020, al termine di una serata tra i fumi dell’alcol.
La donna, quarantaduenne di origine ucraina, in Italia per lavoro, era stata uccisa nell’appartamento dell’ex compagno che poi l’aveva seppellita nel giardino della bocciofila di via Divisione Acqui a Brescia, attiguo alla sua abitazione.
Dall’uomo Viktoriia Vovkotrub si era separata qualche mese prima, proprio per le violenze subite e continuate anche dopo l’interruzione della relazione. Ogni tanto si vedevano. Lei cercava di tenerselo «buono» perché temeva di non riuscire più a rinnovare il permesso di soggiorno che aveva ottenuto con l’aiuto di Berisa.
Ma appostamenti, pedinamenti, aggressioni, fisiche e verbali erano all’ordine del giorno. Fatti, considerati dalla Corte, presieduta dal giudice Roberto Spanò, dei quali l’omicidio è stato corollario, seppur non strettamente legati, dell’omicidio, frutto «dell’occasionalità e dell’estemporaneità». Da tempo la vittima e anche i conoscenti temevano un epilogo tragico. «Vieni via da lì subito», aveva consigliato un amico alla donna che lo aveva chiamato proprio dalla casa di Berisa, la notte del delitto. Quella sera Viktoriia aveva chiamato anche il nuovo compagno.
E proprio quella telefonata aveva acceso gli animi. Tanto che la donna aveva puntato un coltello contro l’uomo che però aveva rivolto la lama verso di lei, affondandogliela una prima volta nel petto e poi altre 13 volte in altre parti del corpo. Nelle motivazioni si esclude però l’aggravante della crudeltà.
«Premesso che la crudeltà non è di per sé incompatibile con il dolo d’impeto, deve ritenersi che la spasmodica ripetizione dei colpi trovi spiegazione nella perturbata condizione dell’agente e nella contingente modalità omicidiaria» . La ricostruzione, che esclude anche i futili motivi, si sofferma lungamente sull’ipotesi di un’infermità mentale di Berisa, pure questa, alla fine esclusa in accoglimento della relazione dei consulenti incaricati dal Tribunale (su sollecitazione degli avvocati Bertoli e Bresciani, per la difesa) di ricercare anomalie genetiche capaci di produrre atteggiamenti aggressivi. “Geni guerrieri” - effettivamente riscontrati nell’imputato, ma non ritenuti tali da compromettere la sua capacità di volere. Né si è ritenuto che il contesto familiare dell’infanzia possa aver inciso sulla personalità di Berisa che, «alla ricerca di una via salvifica», ha invece messo in atto depistaggi (con telefonate ad arte) e riferito i fatti con numerose contraddizioni. «Ha modulato il proprio contegno processuale in base alle finalità utilitaristiche perseguite. Sulle prime ha negato il fatto e, quindi, ha continuato a proclamare la propria innocenza anche dopo aver indicato il luogo di occultamento del cadavere. All’inizio del dibattimento ha ammesso l’omicidio mediante una dichiarazione monosillabica solo perché in quel momento la confessione gli era necessaria per ottenere l’ammissione di una perizia ritagliata sulla sua persona».