Il pressing di Confindustria contro il «Fit for 55» dell’Ue
Il presidente Beretta: «Norma che lede l’automotive ma c’è ancora margine di manovra»
La strada è stretta e i margini di manovra sono minimi. Ma non è detta l’ultima parola. In via Cefalonia c’è ancora chi spera che il Parlamento europeo torni sui suoi passi o, quantomeno, riapra la discussione sul «Fit for 55», il pacchetto di regole sulla decarbonizzazione della mobilità privata che è stato approvato dalla plenaria in trasferta a Strasburgo a inizio di giugno. L’idea di Confindustria è di convincere gli europarlamentari ad aprire al concetto di neutralità tecnologica.
La strada è stretta e i margini di manovra sono minimi. Ma non è detta l’ultima parola. In via Cefalonia c’è ancora chi spera che il Parlamento europeo torni sui suoi passi o, quantomeno, riapra la discussione sul «Fit for 55», il pacchetto di regole sulla decarbonizzazione della mobilità privata che è stato approvato — non senza spaccature e mal di pancia interni ai singoli partiti — dalla plenaria in trasferta a Strasburgo a inizio di giugno.
Il tema su cui Confindustria Brescia pone l’attenzione è l’interpretazione univoca che l’Europa ha dato alla transizione verde, individuando nell’elettrificazione la soluzione per raggiungere, entro il 2030, l’obiettivo di dimezzare le emissioni, impegnandosi poi per il loro definitivo azzeramento entro i successivi 2vent’anni. Un’interpretazione che rischia di mettere fuori mercato un comparto, quello della componentistica auto, che vede appunto in Brescia uno dei suoi centri industriali nevralgici. «Si tratta di una scelta che rischia di avere un impatto su tutto il comparto meccanico bresciano legato alla filiera dell’auto e su cui abbiamo più volte ribadito la necessità di un cambio di rotta, improntato alla neutralità tecnologica» ha confermato ieri il presidente di Confindustria Brescia, Franco Gussalli Beretta, durante la presentazione del bilancio 2021 dell’associazione, chiuso positivamente con un avanzo di gestione di 427.377 euro e proventi in crescita del 10% pari a 10,306 milioni per un totale di 1.240 imprese associate e di 61.453 dipendenti.
E, se la motor valley emiliana in extremis è riuscita a mettere al sicuro la propria tradizione produttiva ottenendo l’approvazione di un emendamento che deroga fino al 2036 dalla norma le imprese che producono da mille a diecimila auto l’anno (cioè le super car), sono ora i componentisti bresciani ad alzare il tiro: «Anche il mondo industriale tedesco ha iniziato a discutere dell’eccessiva rigidità del provvedimento — prosegue Beretta —: io credo ci sia ancora lo spazio politico per cambiare il testo e aprire al concetto di neutralità tecnologica. Ciò che mi preoccupa di più è tuttavia farlo capire alla nomenclatura amministrativa europea». L’obiettivo, come spiegato da Mario Gnutti, vice presidente all’Internazionalizzazione e soprattutto alla guida della Gnutti Carlo, azienda attiva nella componentistica auto, «è rimodulare i target su livelli davvero sostenibili sia per il mercato che per le imprese, dando benefici all’ambiente senza desertificare il tessuto industriale. Dovessimo invece lasciar fare al mercato,il rischio di farsi male sarebbe davvero alto».
Insomma, Brescia è ora in prima linea per portare sui tavoli europei l’idea, come sintetizzato da Paolo Streparava, il quale in via Cefalonia ha la delega al Credito e Finanza, «che solo l’innovazione libera dai lacci legislativi potrà portare alla decarbonizzazione della mobilità». Di qui l’appello al governo affinché Roma finanzi con il Pnrr il progetto di Cittadella dell’innovazione, «il luogo più idoneo per immaginare l’automobile del futuro».