Dieci anni fa, il momento più alto della carriera di SuperMario Era l’ItalBrescia di Pirlo e Prandelli: da allora, la lunga discesa
di sempre A Varsavia la Germania aveva più tifosi, giocava in casa. E in trasferta, anche sul lago di Garda, sapeva difendersi. In più l’Italia arrivava sfavorita e più stanca alla semifinale, raggiunta di rincorsa vincendo solo una partita su quattro: nel girone ci fu l’unico successo pieno contro l’Irlanda, con il 2-0 di SuperMario nei minuti finali in mezza rovesciata dopo essere partito dalla panchina. Nei quarti, contro l’Inghilterra, era finita zero a zero e servirono i rigori - con il celebre «cucchiaio» di Pirlo a Hart per «fargli calare le arie», modo di dire prettamente bresciano che fu irradiato in mondovisione - per approdare in semifinale. La Germania era nel pieno del nuovo ciclo che l’avrebbe portata poi a vincere il Mondiale due anni dopo. Ma quella sera, contro Mario Balotelli, nulla potè.
Mai nella sua carriera, in una gara di quel livello, mise in mostra tutto il suo arsenale in modo così deflagrante. L’Italia giocava per il suo attaccante e Mario voleva vincere anche per la mamma Silvia, i fratelli e gli amici arrivati da Brescia. Serviva solo una miccia per accenderlo e ci pensò il suo «partner in crime» Antonio Cassano, in condizioni fisiche precarie ma capace di servire assist anche da fermo, come al minuto 20: piroetta su una moneta e cross al bacio per lo stacco di Balo. Un’incornata terrificante: Neuer resta di sale. Uno a zero.
E al 36’ si staglia ancora la figura di SuperMario: è il gol più importante della sua carriera, ancora non lo sa. Stavolta è Montolivo a lanciarlo in profondità con precisione millimetrica: il bresciano è in posizione regolare, controlla e accelera. Al limite dell’area di rigore decide di calciare: non è un tiro perfetto, ma basta la potenza inaudita del suo destro per fare gol. Neuer rimane impietrito, il cuoio è una palla di fuoco che si infila nel sette. Sono le nove e venti in Italia, sta calando il tramonto quando dalle finestre di tutto il Paese riecheggia un urlo che ha mille voci e un solo nome. M-a-r-i-o. Lui nado. L’Italia è in finale, tre giorni dopo la perderà contro la Spagna e Mario piangerà in mezzo al campo, consapevole forse che il destino gli aveva rubato una grande chance per la redenzione agli occhi di un’Italia che non era mai stata così sua. Dieci anni dopo, il suo palmares resta fermo a quei nove titoli in bacheca, i suoi gol arrivano lontani, portati dal Bosforo, quel sogno di una notte di mezza estate è rimasto in balia del mare trasformandosi nella grande illusione. Eppure quel brivido caldo resta dentro, come quell’abbraccio collettivo che durò una notte. Quella notte. E che notte.