Dalla discarica al raccolto
In otto anni un gruppo di volontari ha creato un’oasi di biodiversità che attira gli studenti di Agraria e conquista anche i turisti stranieri «Chiunque può dare una mano»
Per aprire la lettera hanno aspettato le sette di sera, l’orario delle annaffiature, momento di massima affluenza degli ortisti. Timbro postale di Nieuwegein, Paesi Bassi, «grazie per il tour nel vostro bellissimo giardino, Geerte e Janine». Sconcerto generale: nessuno ricordava le ragazze. Franco Beccari, fra i fondatori del giardino condiviso «Gli orti di via Padova», spiega, «non siamo insensibili, vengono a trovarci universitari da tutta Europa, scattano foto e ripartono, volti e nomi inevitabilmente si perdono».
Succede se crei un’oasi di biodiversità dal nulla, anzi da una discarica abusiva. Migliaia di ore di pala e piccone hanno completamente trasformato i duemila metri quadri di terra in fondo a via Carlo Esterle. E i giovani, soprattutto studenti di Agraria e Scienze Naturali, fanno la fila per entrare a curiosare. «Quando abbiamo firmato nel 2014 con il Municipio di zona 3 per l’affido del terreno a venire qui c’era da avere paura», raccontano gli ortisti, «era il classico luogo dimenticato, nascosto dalla boscaglia e ideale per traffici illeciti». Dopo la maxi operazione di pulizia (e l’arrivo dall’Expo Gate di piazzale Cairoli di un centinaio di cassoni di legno), hanno iniziato a coltivare. «Era estate, sole feroce e nessun riparo, all’ora di pranzo ci rifugiavamo nell’oratorio della chiesa di San Giovanni Crisostomo, è finita che mi sono dovuto infilare una camicia per andare a fine messa a spiegare cosa facevamo, il parroco aveva intuito il valore del progetto», ricorda un divertito Beccari.
Otto anni dopo, ci sono una sessantina di volontari. «C’è chi viene tutti i giorni, chi una volta a settimana e chi si presenta solo per le potature: siamo aperti a tutte le forme di collaborazione», fanno sapere. All’ingresso, vicino alla recinzione, ci sono il frutteto e una decina di piante di ulivo, poi la grande area verde è come divisa in due parti: a est è un giardino più contemplativo, con le alti siepi di rose, i cespugli di erbe officinali e l’isola delle farfalle (con la collezione di piante di buddleja), mentre a ovest rivela la sua anima campagnola con l’orto sinergico (affollato di fagiolini, borragine, pomodori, cipolle, aglio e bietole), la spalliera con le viti, lo stagno che disseta insetti e uccelli (un gheppio fra i frequentatori abituali) e i vasconi per la cultura idroponica (l’insalata cresce con le radici nell’acqua). «A chi si lamenta di non avere talento parlo di me, non avevo familiarità neppure con i fiori e ora studio i metodi di coltivazione che preservano l’equilibrio naturale della terra», sottolinea Rosanna Ciaravolo, «la manualità si impara e cresce di pari passo con la passione». Il raccolto dell’orto è sempre generoso, soprattutto in estate. «L’orgoglio, però, arriva dalla consapevolezza che con questa azione di agricoltura sociale si protegge la natura e si offre alla collettività un angolo di benessere», conclude Angela Amoroso.