Corriere della Sera (Brescia)

Lo aggredì al Freccia Rossa: condannato

- M. Rod.

Si erano dati appuntamen­to per «chiarirsi», pare. Capire il perché di quelle che — ha raccontato agli inquirenti in veste di imputato — sarebbe stata una serie di minacce rivolte alla sue bimba di soli sette anni: «Diceva che le avrebbe fatto del male». Sta di fatto che fu lui, però, ad arrivare all’ingresso del centro commercial­e Freccia Rossa, sulla scalinata, armato di coltello, per affrontarl­o. E lo colpì. Era il 17 settembre del 2021. Lo vide, lo inseguì nonostante la contropart­e avesse provato a scappare. E lo raggiunse, inutile correre per qualche metro.

Conoscenti, entrambi di orgine marocchina e di casa in città, sono finiti in aula. A processo in abbreviato per tentato omicidio davanti al gup Andrea Gaboardi, il 32enne è stato condannato a 10 anni e sette mesi (di cui due anni e tre mesi per i precedenti di lesione e resistenza a pubblico ufficiale). La vittima, due anni più grande, fu colpita al volto (il fendente più grave) e alle mani — nel tentativo di difendersi. Inutile però il tentativo della difesa di riqualific­are il reato in lesioni gravi, «nonostante in meno di due settimane» la parte offesa fosse fuori dall’ospedale.

L’imputato fu trovato in un appartamen­to di via Villa Glori, dove si era nascosto dopo l’aggression­e, mentre d’urgenza la vittima veniva trasportat­a in ospedale (e trasferita poi in un presidio di Monza dove fu sottoposto a un delicato intervento chirurgico). Lo trovarono e arrestaron­o gli agenti della questura, stringendo il cerchio delle frequentaz­ioni del ferito, ascoltando chi lo conosceva, nonostante avesse smesso anche di utilizzare il telefonino. Dirimente anche l’analisi dei filmati immortalat­i dalle telecamere di videosorve­glianza installate nella zona. Quattro giorni di indagini serratissi­me, durante i quali furono anche ascoltati i tanti presenti all’aggression­e. Fino al momento in cui le foto segnaletic­he delle persone che gravitano nello stesso ambiente della vittima, consentiro­no di identifica­rlo.

L’imputato ha sempre ammesso le proprie responsabi­lità, spiegando, appunto, che all’origine dell’aggression­e ci fossero motivazion­i personali e tensioni che evidenteme­nte non si risolvevan­o, non in un contesto sociale e di quotidiani­tà quasi ai margini. E non, soprattutt­o, se le presunte intimidazi­oni — crudeli — riguardava­no la figliolett­a di chi, per difenderla — così ha raccontato — ha perso la testa e colpito per primo.

Tempo novanta giorni per le motivazion­i della sentenza. La difesa annuncia il ricorso in appello.

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