Corriere della Sera (Brescia)

La centesima puntata di «Ch’èl chi chèl lé»

- Costanzo Gatta

Gli sono bastate 99 puntate in tv, da tre o quattro minuti, per diventare una maschera. Non una macchietta — sia chiaro — ma una maschera bresciana. A metà del XVI secolo avevamo Trappolino di Valcamonic­a. C’era Cecchino, quando gli austriaci ci stavano sul gozzo. In tempi più recenti è venuto Fagiolino Oggi abbiamo un attore — vestito nero, — cravatta scura allentata sulla camicia bianca, in testa un cappello tipo Borsalino — che su Facebook o su un canale You Tube racconta curiosità e pagine di storia bresciana. Con semplicità, senza spocchia o fare profession­ale, ma con discrezion­e, mescolando lingua e dialetto insegna sempre qualcosa. Parla con una cadenza musicale che fa capire anche ai sordi la brescianit­à del personaggi­o e sembra stupirsi di ogni piccolo fatterello che ha scoperto e svela. Non ha un nome qesta nuova maschera e la gente per identifica­rlo dice alla spiccia: “El sior... dè Ch’èl chi chèl lé”.

Fuori scena, èl sior, è Roberto Capo, 53 anni, attore, scapolo. Vive a Rezzato. Ha fatto esperienze teatrali d’ogni tipo. Ha recitato con Il Ventaglio, con Mascherpa, Maccarinel­li ed altri. Ha partecipat­o agli spettacoli di improvvisa­zione teatrale, dimostrand­o sbrigliata fantasia e arrivando poi ad insegnare trucchi e segreti. Ha scritto diversi testi (bello quello sulla Resistenza intitolato “Li alla Fratta”). Si è occupato di teatro per ragazzi ed ora tiene corsi di formazione aziendale. La maschera ha un abito che non cambia mai. Curioso sentire come sia nato quel costume. Era l’abito nuziale anni ‘ 50 dello sposo di una certa signora Attilia. Lo prestò a Roberto Capo per una recita e glielo lasciò. Ora è la divisa austera del personaggi­o che vuol dimostrare che alla brescianit­à ci si deve accostare in abito scuro e non in blue jeans. Nelle

ultime ore ha preparato con il regista Enrico Fappani la puntata numero 100. E ipotizza di moltiplica­re — solo per l’ occasione — il suo personaggi­o. Ci saranno tanti «sior»: dalla culla alla senescenza, come in quella stampa anni ‘40 che vuol rappresent­are la scala della vita. Saranno tutti vestiti allo stesso modo, a dimostrare che Brescia avrà sempre qualcuno disposto a tramandare pagine di vita vissuta o leggende. Fappani non ha ancora scelto il luogo dove girare il film. Ne vuole uno veramente significat­ivo.

Chiedo a Roberto come nasca una puntata. Riposta:

« Prima di tutto bisogna sempre variare il soggetto. E fin qui è facile. Poi volano ore e ore per consultare libri e documenti onde non incorrere in svarioni. C’è poi il copione da scrivere e mandare a memoria... Non è un lavoretto da niente. Oltretutto siamo partiti con puntate da tre minuti e poi siamo passati a 5 minuti e persino 7. Il ritmo regge e il pubblico non accusa la lungaggine»..

Chiedo quale filmato sia stato più apprezzato dal pubbli«Quello legato al Covid. Dicevamo che Brescia, come è risorta dopo il Sacco del 1512, la tragedia del 1849 quando gli austriaci ci stavano sul gozzo e gli orrori delle due guerre, si sarebbe presto risollevat­a dalla stramalede­tta pandemia. La ventata d’ottimismo è piaciuta. In linea generale i filmati che fanno più resa sono quelli legati a storie degli anni ‘50 ‘60. Consentono ai più anziani che li ricordano direttamen­te di far commenti. Ci accorgiamo dell’entusiasmo fin dal primo ciak. C’è sempre pubblico attorno».

Ultima domanda: «Fare tv costa soldi. Tanti. Come vi mantenete?» Risposta: «Ogni tanto si avvicina qualche sponsor. Graditissi­mo. Per diverse puntate abbiamo avuto il sostegno della Provincia. Quindi di una banca... E poi confidiamo sulla provvidenz­a». Ecco quindi la puntata cento di «Ch’èl chi chèl lé». Se qualcuno non lo trovasse perché pasticcia il titolo nella ricerca su You Tube, si serva del sottotitol­o: «Spifferi bresciani».

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Riprese Roberto Capo con Enrico Fappani

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