Quattro fotografi e un coro di narratori raccontano visuali inedite Milano non soffre di vertigini
La cupola di Diabolik e il tiburio delle Grazie: gli scorci dai piani alti
Cosa si vede in una città dall’impianto urbano densissimo come è Milano, da una finestra di un primo piano? Ben poco, la visione si limita a quello che si ha di fronte. Salendo, invece, ottavo, decimo, ventesimo piano, l’affaccio si allarga e boom, arriva dritto al cuore, il paesaggio è mutato. La metropoli, però, anche se con la recente rincorsa si proietta sempre più anche in verticale, ha l’anima della pianura, ed è proprio l’assenza di alture naturali da cui contemplarla ad accrescere il valore del punto di vista dall’alto. Il libro «Milano dall’alto. Sguardi sulla città» (Celip), a cura di Roberta Cordani accompagna il lettore in vetta e una volta raggiunta la cima spalanca tutte le finestre e invita a guardare giù. A rivelare il lato inedito, quattro fotografi — Andrea Cherchi, Stefano Gusmeroli e Franco Papetti per il contemporaneo, con le immagini storiche di Mario De Biasi c’è il salto temporale all’indietro —, mentre la narrazione, come sempre nei volumi firmati da Cordani, è affidata a commenti di voci autorevol i ( docent i , s tor i c i dell’arte e dell’architettura, giornalisti).
Antonella Ranaldi, a lungo soprintendente cittadina di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, nell’introduzione anticipa quale è la sorpresa della vista dall’alto. «Si scoprono allineamenti che non corrispondono ad assi viari — scrive — e tracciano coni di visuali aeree che intercettano luotacieli speciali e tessono tra loro relazioni, anche inaspettate». Così, spiega, «dai grattacieli di Citylife si vede il tiburio di Santa Maria delle Grazie e oltre, sulla stessa traiettoria, la torre di Sant’Ambrogio, la cupola di San Lorenzo e in lontananza il campanile di Sant’Eustorgio». L’architetto Stefano Boeri, invece, sottolinea come la fotografia aerea sia in grado di evidenziare discontinuità, distacchi, disarmonie, perché, spiega, «la storia dell’architettura milanese è punteggiata da episodi di rottura consapevole con le condizioni di contorno». Il libro va sfogliato lentamente, avanti, indietro e di nuovo avanti, per cercare, riconoscere, curiosare, fino a farlo diventare gioco di avanscoperta. La partenza è con la passeggiata sulle terrazze del Duomo, poi ci si addentra nei cortili meno frequentati del Castello, si rimbalza fra i giardini segreti del centro e gli scorci di palazzi storici — una meraviglia i primi piani della cupola beauxarts di Palazzo Meroni, immortalata nel film Diabolik — e poi: a volo d’uccello sulla Torre Unicredit; sopra ai gratghi di Citylife; la Velasca; il disegno a fiore delle mura della Rotonda Besana; la Darsena (Milano sembra città fluviale); ma anche terrazzi privati e roof degli aperitivi e dettagli di facciate, disegni di cortili e piazze, sovrapposizioni di tetti e cupole. «Abbiamo avvicinato i panorami lontani rendendoli non solo vicini, ma anche comprensibili e amici — dice Cordani — il risultato è una Milano che sorprenderà anche chi pensa di conoscerla bene».